Per il nostro angolo di cucina tradizionale divulgo questa ricetta: deliziosa, nutriente, ed assolutamente ecosostenibile e financo ecopromotrice direi, che ho assaggiato di recente in una trattoria di Montefiascone. E’ una ricetta della tradizione comune a molti paesi delle regioni boscate di montagna e media collina, simile ovunque ma con molte variazioni locali sul tema.
In questi paesi la castanicoltura da frutto ha rappresentato l’elemento chiave dell’economia di sussistenza. Ora può divenire l’elemento trainante di un ecoturismo di qualità, soprattutto quando integrata al turismo eno-gastronomico. Le castagne e le loro farine, infatti, per quanto deliziose potessero essere, hanno rappresentato l’alimento base di quotidiano consumo in autunno ed in inverno. Non stupisce che potessero venire a noia. Non stupisce neanche che il bisogno aguzzi l’ingegno e che la fantasia sia venuta in soccorso a queste popolazioni che hanno utilizzato le castagne per le preparazioni più varie. Dai dolci, ai primi, ai secondi. Questa zuppa è una di queste fantasiose e goduriose espressioni della cultura culinaria popolare. Vi servono:
- una quindicina di castagne per ogni commensale
- un bicchiere scarso di ceci secchi o 100 grammi di ceci in scatola
- odori misti
- alloro
- olio extravergine d’oliva
- sale, pepe bianco e pepe nero
Si incidono le castagne fresche (vanno bene anche i marroni), si mettono a cuocere in forno con qualche foglia d’alloro bagnata. In alternativa per una versione sbrigativa si possono acquistare le castagne secche da reidratare in ammollo ma, come mi ha fatto notare l’oste, non è la stessa cosa. Cotte sulla brace (tanto meglio) o comunque nel forno, protette nei loro gusci lucidi, mantengono tutti gli aromi e le fragranze dell’endosperma del seme. Una volta cotte si “pelano”, come si fa normalmente per le caldarroste (dette bruciate in Toscana). Questa è, insieme all’incisione, l’operazione più noiosa, d’ora in poi è tutto facile.
Si uniscono le castagne ai ceci possibilmente bio e locali (come sempre) che avremmo fatto ammollare dalla notte prima e messo a bollire in una pentola (preferibilmente di coccio) per il tempo necessario a renderli tenerissimi.
Per quanto riguarda i ceci, cercate di azzeccare subito la dose di acqua per far li cuocere, uniti al sale e ad un gambo di sedano, una carota ed una cipolla tagliati a pezzettini. L’acqua non deve essere troppa, altrimenti la zuppa che ne risulterà sarà troppo acquosa, appunto. Se i ceci navigano in un mare di acqua buttatene via un po’; operazione con la quale, però andrà via anche un po’ di sapore già diluito dal troppo solvente. Anche in tal caso potete utilizzare i ceci in scatola scolati e messi a sobbollire (mi raccomando evitate i ceci messicani, grossi, duri, insapore e per nulla a chilometro zero) ma l’acqua non recherà gli aromi dei ceci come nel caso dei legumi secchi, imbibiti e cotti in essa.
Unite la castagne ai ceci e fate cuocere insieme per 10 minuti in modo da sposare i sapori. Ora potete, secondo gradimento, frullare tutto, per nulla o in parte la zuppa-crema a seconda dei vostri gusti. Le nonne direbbero di passare i ceci, di modo da trattenere la pellicina. Ed in effetti avrebbero ragione, se ne avete tempo e voglia usate sempre il passaverdure e l’olio di gomito, i sapori e la consistenza sono più buoni e certamente è più ecologico dell’elettricità. Potete servire così con crostini di pane croccante, pepe bianco ed un filo d’olio a crudo.
Gli irriducibili del soffritto potranno, a parte, aver fatto rosolare cipolle ed odori in un tegame al quale uniranno poi la zuppa per qualche minuto ma se le castagne ed i ceci sono davvero “speciali” non ci sarà bisogno di alcun soffritto.
Il consumo di castagne e di marroni locali contribuisce a preservare i nostri storici castagneti da frutto, il sapere degli innestatori, dove hanno abitato tanta parte della cultura, delle leggende e delle tradizioni e che per tanta parte hanno disegnato i paesaggi boscati di Italia.
[Fonte foto: castagneitaliane.blogspot.com]