Per combattere i cambiamenti climatici
abbiamo bisogno di recuperare i valori delle popolazioni indigene.
Con queste parole si è chiuso il primo vertice dei Paesi sudamericani sul clima che si è tenuto a Cochabamba in questi ultimi tre giorni. Purtroppo, dicono i partecipanti, i Paesi ricchi hanno poco interesse ad imparare queste lezioni, e stanno invece spingendo verso un piano che, al suo meglio, aumenterebbe le temperature medie globali di 2° C.
Ciò significherebbe lo scioglimento dei ghiacciai dell’Himalaya e delle Ande
ha spiegato Evo Morales, presidente della Bolivia, alle migliaia di persone riunite nello stadio per la chiusura della Conferenza mondiale sui cambiamenti climatici e per i diritti della Madre Terra. Quello che non ha detto è che il popolo boliviano, non importa quanto sostenibile sia la sua scelta di vita, ma non ha alcun potere per salvare i propri ghiacciai.
Il vertice sul clima della Bolivia ha avuto momenti di gioia, di leggerezza e di assurdità. Eppure un conflitto di emozioni ha aleggiato durante tutto l’incontro: rabbia contro impotenza. C’è poco da meravigliarsi. La Bolivia è nel bel mezzo di una profonda trasformazione politica, quella che ha nazionalizzato le industrie chiave ed elevato le voci dei popoli indigeni come mai prima. Ma quando si tratta dei temi più pressanti, come lo scioglimento dei ghiacciai ad un ritmo allarmante, che minaccia l’approvvigionamento di acqua in due delle città principali, i boliviani sono impotenti nel fare qualsiasi cosa per cambiare il loro destino.
Questo perché la fusione che si sta verificando in Bolivia è colpa dei Paesi fortemente industrializzati. A Copenaghen, i leader delle nazioni in via di sviluppo come la Bolivia e Tuvalu hanno sostenuto fortemente le riduzioni drastiche delle emissioni che possono evitare la catastrofe, ma purtroppo, secondo loro, la volontà politica nel “Nord” proprio non c’era.
Quando Morales ha invitato “i movimenti sociali e i difensori della Madre Terra: scienziati, accademici, avvocati e Governi” a Cochabamba per un nuovo tipo di vertice sul clima, è stata una rivolta contro questa esperienza di impotenza, un tentativo di costruire una base di potere dietro il diritto di sopravvivere.
Il governo boliviano ha così proposto quattro grandi idee:
- che i diritti della natura dovrebbero essere garantiti, con al centro la protezione degli ecosistemi dalla distruzione (una “dichiarazione universale dei diritti della Madre Terra”);
- che coloro che violano tali diritti e altri accordi internazionali ambientali devono affrontare le conseguenze legali in un tribunale di giustizia climatica;
- che i Paesi poveri dovrebbero ricevere le varie forme di compensazione per una crisi che stanno attraversando, ma che abbiano un ruolo marginale nella creazione del “debito del clima”;
- che ci sia un meccanismo che permetta alle persone di tutto il mondo di esprimere le loro opinioni su questi temi, come una sorta di “referendum degli abitanti della Terra sui cambiamenti climatici”.
Diciassette gruppi di lavoro della società civile sono stati ascoltati e, dopo settimane di discussione online, si sono incontrati per una settimana a Cochabamba con l’obiettivo di presentare le loro raccomandazioni finali al termine del vertice. Il processo è affascinante, ma lontano dall’essere perfetto, dato che si è passato più tempo a litigare che a trovare una soluzione. Eppure l’impegno entusiasta della Bolivia alla democrazia partecipativa può rivelarsi il più importante contributo del vertice.
Con il vertice di Cochabamba si è cercato di capire quello che, a livello nazionale e globale, bisognerebbe fare e proporre al prossimo incontro dell’ONU sul clima a Cancun. Nelle parole dell’ambasciatore della Bolivia presso le Nazioni Unite, Pablo Solone, si racchiude lo spirito del vertice:
L’unica cosa che può salvare l’umanità da una tragedia è l’esercizio della democrazia globale.
Dove per democrazia non si intende quella conosciuta in senso classico, ma l’ascolto delle opinioni dal basso, quelle delle persone comuni che molto spesso ne sanno più dei politici che alla fine decidono per tutti.
Fonte: [The Guardian]