Nei giorni scorsi avevamo parlato della morte di Hugo Chavez, presidente del Venezuela da quasi un ventennio, e di quanto aveva fatto per l’ambiente. Ora, in questo articolo, cerchiamo di capire cosa il Venezuela può fare per l’ambiente senza Chavez. Il presidente ha avuto un approccio abbastanza schizofrenico nei confronti delle tematiche ambientali. Da un lato infatti aveva deciso di razionare l’estrazione del petrolio, dall’altro però si era opposto all’abbandono dell’oro nero nei trattati internazionali.
L’idea che Chavez aveva della questione energetica era di basare le economie sul petrolio, e di colmare quella percentuale più o meno grande di fabbisogno energetico rimanente o con il nucleare o con le rinnovabili. Dopotutto le esportazioni di petrolio rappresentavano il 94% delle entrate da export del suo Paese, e quindi non poteva di certo decidere di chiudere i rubinetti. D’altra parte però prese anche la saggia decisione di estrarre non più di un certo numero di barili ogni anno per evitare di finire troppo in fretta le sue scorte.
La strategia di Chavez diventò evidente nel 2009 quando, in una conferenza sul clima tenutasi a Bonn, in Germania, un suo rappresentante prese la parola e disse chiaramente che in un’economia low carbon (ovvero senza carbone e petrolio) i Paesi oggi esportatori sarebbero diventati poveri. A dirla tutta da quando Chavez è al potere il tasso di povertà del Venezuela è aumentato e di parecchio. Per questo, pure aderendo al Protocollo di Kyoto, il portavoce venezuelano affermò che il suo Paese non avrebbe mai aderito ad un trattato internazionale che avrebbe previsto il taglio dell’utilizzo del petrolio.
Anche se si è sempre professato un ambientalista convinto, l’ex presidente ha innalzato talmente tanto la soglia dell’inquinamento all’interno del proprio Paese da rendere il Venezuela una delle nazioni povere più inquinanti al mondo (in media 6 tonnellate di CO2 a testa per ogni abitante, per capirci in Italia la media è vicina alle 9 tonnellate), per un totale dello 0,56% dell’inquinamento mondiale. Considerando che quella del Venezuela è una delle ultime economie del pianeta, si capisce che lo squilibrio è enorme.
D’altra parte però i piani per il futuro sono positivi. Prima di morire, Chavez aveva approvato un piano da 500 milioni di dollari di investimenti in energia eolica più una distribuzione di 155 milioni di lampadine a risparmio energetico in tutto il Paese. L’obiettivo era di ridurre l’inquinamento interno, ma se per farlo bisognava aumentare quello all’esterno, esportando petrolio, alla fine la bilancia non dava risultati positivi.
Dunque cosa può fare il Paese ora che Chavez non c’è più? La prima opportunità la offre l’Ecuador con la proposta di una tassa tra il 3 ed il 5% su ogni barile di petrolio esportato verso le nazioni ricche. Già questo passo potrebbe ridurre l’utilizzo del petrolio. Dopodiché si potrebbero seguire le linee guida delle Nazioni Unite per un’economia low carbon (al momento il Venezuela è al 24esimo su 26 posti tra i Paesi in via di sviluppo più attraenti per gli investitori stranieri nella green economy), e limitare ancor di più l’utilizzo del petrolio, fino ad una progressiva chiusura dei rubinetti di qui a qualche anno.
[Fonte: the Guardian]
Photo Credits | Getty Images