Greenpeace colpisce ancora, e stavolta con metodi d’indagine degni della Cia, ha scoperto un giro d’affari enorme fatto dalle multinazionali della tecnologia europee, americane e asiatiche ai danni dell’Africa. 3 anni fa la sezione inglese di Greenpeace nascose, all’interno di un televisore rotto, un ricevitore Gps, e lo portò in un centro di riciclo di materiale tecnologico.
Da lì, per legge sarebbe dovuto essere trasportato in qualche centro riciclaggio inglese, dove sarebbe stato smembrato e smaltito. Invece, seguendo il ricevitore satellitare, Greenpeace si è resa conto che quel televisore ha fatto un giro incredibile, varcando decine di confini mondiali, fino a terminare la sua corsa in Nigeria. Lì effettivamente avviene una sorta di riciclo, ma fatto in condizioni barbare.
L’iter è il seguente: il televisore, insieme a centinaia di altri prodotti tecnologici, viene inviato in Africa (in maggioranza Nigeria e Ghana, ma sono tanti i Paesi che effettuano questo traffico, compresi Cina e India) come prodotto di seconda mano, con l’intento di fornire gratuitamente alle popolazioni svantaggiate un mezzo elettronico. In realtà però questo macchinario la maggior parte delle volte è rotto, e lì non ci sono le conoscenze necessarie per ripararlo. Allora lo si cede ad una organizzazione senza scrupoli che lo porta in una discarica, lo si affida a dei bambini (che vanno dai 5 ai 18 anni). Questi danno fuoco al televisore per separare la parte di plastica dai metalli rivendibili (rame e alluminio soprattutto) per poi rivenderli ai loro padroni per una manciata di dollari. Tutto senza condizioni di sicurezza, e molto spesso a mani nude. Inutile dirlo che capita spesso che qualcuno resti menomato o ci lasci la pelle.
Il caso del televisore di Greenpeace non è isolato, ma secondo le ricerche dell’organizzazione ambientalista pare siano addirittura il 75% i rifiuti tecnologici che, in barba alle norme vigenti, finiscono nei Paesi del Terzo Mondo, dove arrivano per essere smaltiti in vere e proprie discariche a cielo aperto. In termini assoluti si parla di 20-50 milioni di tonnellate all’anno di immondizia tecnologica, che per le difficoltà di smaltimento, vengono infilate sotto il tappeto del mondo.
fabio 22 Febbraio 2009 il 12:52 pm
Impressionante, anche se un po lo sospettavo.
Al momento comunque per rimediare ho uno dei miei due pc di seconda mano, il televisore di terza mano, uno dei due monitor di seconda mano, e sto raccogliendo monitor e pc di seconda e terza mano da destinare a mio padre ed a zii vari che si devono informatizzare.
Il riciclo ‘locale’ è la vera risposta!!! dubito che se mandassi il monitor in uganda per farlo utilizzare ai bambini arriverebbe integro e funzionante.
Un pc che per me e’ anziano puo’ essere una risorsa per un anziano!!! 🙂
Certo nel caso di dispositivi rotti in partenza c’e’ poco da fare, ci vorrebbe qualcuno in grado di ripararli ma a volte e’ veramente impossibile!! (motherboard rotta ad esempio) pero’ in qualche caso basta poco a rimediare (un banco di ram da sostituire, una ventola rotta…).
Che voi sappiate esiste qualche ente certificato al quale consegnare la spazzatura informatica inconfutabilmente rotta a “cuor leggero?”.
pc di seconda mano 14 Dicembre 2010 il 5:18 pm
volevo segnalarvi a tal proposito questo articolo che parla proprio di pc di seconda mano, spesso venduti ai paesi più poveri, dove sta cominciando ad esserci un’informatizzazione… anche questa potrebbe essere una soluzione, no?