La tigre della Tasmania è una delle specie che siamo sicuri si siano estinte in tempi recenti. Carnivoro marsupiale che viveva solo in Australia ed in Tasmania, oggi non esiste più perché dichiarato estinto negli anni ’30. Per decenni gli scienziati hanno creduto che la causa di questo tragico evento sia da attribuire ad una malattia, la stessa che ha colpito oggi il Diavolo della Tasmania che pure rischia di sparire, ma un nuovo studio rivela che la causa, come sempre, non è naturale ma umana.
Lo studio è stato realizzato presso l’Università di Adelaide ed ha individuato come principale fattore dell’estinzione la caccia. All’inizio del ‘900, quando l’espansione umana in quei territori era molto intensa, il Governo del Paese istituì delle vere e proprie taglie sulla testa di questi predatori che erano ritenuti pericolosi per gli umani. Immediatamente i cacciatori si sono scatenati ed hanno presentato migliaia di carcasse alle autorità nel giro di pochi anni. Questa caccia così serrata però ha decimato molto in fretta la popolazione dei tilacini, tanto che nemmeno l’abrogazione di questa legge bastò a salvarli.
Molte persone ritengono che la caccia di taglie da sola non sarebbe potuta bastare ad estinguere il tilacino e quindi che l’epidemia di una malattia sconosciuta sia la responsabile. Abbiamo testato questa affermazione attraverso lo sviluppo di un ‘metamodello’ – una rete di modelli di specie legate – che ha valutato se gli effetti combinati degli europei avrebbero potuto sterminare il tilacino, senza alcuna malattia
ha affermato il leader del progetto, il ricercatore associato Dr Thomas Prowse della Scuola di Scienze della Terra e Ambientali dell’Istituto per l’ambiente. Il risultato era quello che ci si poteva aspettare: la caccia da sola non poteva essere la responsabile dell’estinzione, ma ad essa si è aggiunta anche la perdita di habitat dovuta all’urbanizzazione e la riduzione delle prede del tilacino, in particolare canguri e wallaby, anch’esse ridotte dall’espansione umana. Lo studio è stato pubblicato sul Journal of Animal Ecology.
[Fonte e foto: Sciencedaily]