Parte dell’Alaska diventa area protetta per gli orsi polari

orso polare

Finalmente gli orsi polari hanno vinto la loro battaglia. Se il rischio di estinzione ancora non è stato completamente eliminato, almeno ora potranno godere di un’area molto vasta dove poter vivere e riprodursi senza che nè l’uomo nè le sue attività potranno ostacolarlo.

A deciderlo è stata l’Amministrazione del Presidente Barack Obama, la quale ha stabilito che un’area di 520 mila chilometri quadrati in Alaska (più grande dell’Italia ed un terzo della terra dello Stato che la ospita) sia destinata all’orso polare, e nessuno potrà entrarvi, se non per rilevazioni scientifiche. L’orso polare, simbolo degli animali in via d’estinzione insieme al panda, è entrato nella lista delle specie minacciate solo nel 2008, dopo che numerose polemiche e rivolte degli ambientalisti hanno costretto l’amministrazione Bush, dopo anni di sfruttamento proprio del territorio del Nord America, ad ammettere che si tratta di una specie a rischio.

I calcoli sulla sopravvivenza delle specie a rischio sono sbagliati

rinoceronte bianco

I biologi della conservazione possono essere delusi di sè stessi. L’analisi del numero minimo di esemplari necessari per fare sopravvivere una specie nel lungo termine è sbagliato, ed è stato rilevato che le pratiche di conservazione attuali sottovalutano il rischio di estinzione senza consentire di individuare completamente i pericoli derivanti dalla perdita di diversità genetica. Se tale tesi è corretta, significa che il numero di esemplari delle specie minacciate potrebbero diminuire tra non molto tempo.

Lochran Traill dell’Università di Adelaide, in Australia, e colleghi hanno scoperto che per migliaia di specie la dimensione minima vitale di una popolazione (MVP), in cui una specie ha un 90% di possibilità di sopravvivere nei prossimi 100 anni, è di migliaia anziché centinaia di individui. Molti biologi, spiega Traill, lavorano con numeri più bassi, e consentono così rischi di estinzione inaccettabilmente alti.

Se le specie in pericolo di estinzione non saranno portate ad un totale della popolazione delle dimensioni di alcune migliaia, sarà difficile gestire la loro persistenza nel breve termine.

Il pellicano californiano di nuovo a rischio estinzione

Stavolta non c’entrano nulla gli agenti inquinanti (petrolio, CO2, ecc.), o almeno quelli classici. La causa che sta portando alla morte migliaia di esemplari di pellicano bruno californiano potrebbe essere circoscritta nell’area dello Stato americano. Questo non significa che il problema non tocchi il resto del mondo, ma anzi, essendo concentrata in un punto, c’è il rischio che sia ancora più intensa.

Stiamo parlando del PBDE, polibrominato difenile, un ritardante di fiamma utilizzato per spegnere i roghi susseguitisi nei mesi scorsi in California, e di cui adesso ne stiamo pagando le conseguenze. Si sapeva già che l’agente chimico era un potenziale pericolo per i volatili della zona, ma siccome non si riuscivano a trovare altre soluzioni alle decine di roghi che hanno devastato le case californiane, si è deciso di correre il rischio. Il risultato adesso è che le strade californiane sono piene di centinaia o anche migliaia di esemplari di pellicano bruno senza vita. E non solo le zone costiere.