Al via la conferenza di Bonn sul futuro del clima

conferenza di bonn

La conferenza di Copenaghen, su cui si erano concentrate le speranze del mondo di porre un freno alla distruzione del Pianeta, si è conclusa nel dicembre scorso con un clamoroso flop e le magre conclusioni sono state accantonate per via della crisi economica. A dicembre prossimo ci sarà una nuova conferenza, quella di Cancun, in Messico, in cui bisognerà assumersi nuovi impegni e fare il punto della situazione e  c’è il rischio di un nuovo fallimento.

Per non arrivare impreparati, 182 Governi facenti parte delle Nazioni Unite si sono incontrati oggi a Bonn, in Germania, per una conferenza “di medio termine” che durerà fino all’11 giugno. Il punto fondamentale dei lavori dei 4.500 delegati sarà attuare quelle poche decisioni che sono state prese a Copenaghen, e cioè principalmente taglio delle emissioni ed aiuti economici ai Paesi in difficoltà che fanno fatica ad adeguarsi alle nuove norme.

Summit di Copenaghen: riassunto del quarto giorno

striscione protesta copenaghen

Se ci fosse un indice, come quelli di borsa, per valutare l’andamento del summit di Copenaghen, questo vedrebbe un rialzo alla fine del primo giorno, uno stazionamento nel secondo, ed un crollo vertiginoso nel terzo e quarto. L’ultimo in particolare è stato abbastanza doloroso, perché ha aperto uno squarcio in più. Mentre fino a ieri la “battaglia” sulle cifre avveniva soltanto tra Paesi poveri e Paesi ricchi, dalla metà di ieri c’è stata una scissione anche all’interno del gruppo nutrito di poveri. Si potrebbe dire una lotta tra i Paesi poveri e quelli che sono molto più poveri.

Il punto centrale in discussione è che, secondo alcuni Paesi poverissimi, specialmente quelli insulari, i loro rappresentanti che fanno parte di quelle nazioni in via di sviluppo (Cina, India, Brasile e non solo) stanno diventando troppo “morbidi” nei confronti dei ricchi. L’ultima proposta, che però tanto morbida non sembra, è di prolungare il protocollo di Kyoto. Questo prevedeva un taglio del 5% delle emissioni rispetto al 1990 (per i Paesi industrializzati) entro il 2012, portando ad un -40% al 2020. Inoltre la richiesta del G77 è che stavolta tutti, quindi compresi gli Stati Uniti, aderissero al protocollo.

Gli Stati Uniti stanziano 275 milioni di dollari per salvare la foresta pluviale

foresta pluviale danneggiata in indonesia

Gli Stati Uniti hanno promesso 275 milioni dollari per la protezione della foresta pluviale giovedi scorso, in occasione di un evento organizzato dall’erede al trono della Gran Bretagna, il principe Carlo, a Londra. Il denaro complessivamente stanziato sarebbe di 1,2 miliardi di dollari di assistenza per i programmi internazionali, nell’ambito di un bilancio 2010 attualmente in attesa di approvazione del Congresso degli Stati Uniti.

Il principe Carlo si è battuto per la protezione delle foreste tropicali, come un modo per frenare il cambiamento climatico e per preservare la fauna selvatica, e vuole che i fondi colmino un vuoto di politica prima di un accordo delle Nazioni Unite sul clima che entrerà in vigore nel 2013.

La Prestigiacomo chiude l’accordo con 28 grandi aziende per inquinare di meno

stefania prestigiacomo sorridente

Dopo due anni di silenzio più o meno totale, la Ministra dell’Ambiente, Stefania Prestigiacomo, ha deciso di darsi da fare, e prendere in mano una situazione che le stava definitivamente sfuggendo. Vedendo che in quasi tutti gli altri Paesi del mondo la politica, ed i vari suoi colleghi ministri, si stavano dando da fare per ridurre le emissioni e per raggiungere i vari obiettivi ambientali, ha tentato la via della politica, inutilmente.

I richiami al Governo non sono serviti a nulla. Si sa che Berlusconi e colleghi dall’orecchio dell’ambiente non ci sentono, e siccome sono impegnati in ben altre faccende, la Prestigiacomo si è finalmente decisa a cambiare tattica e ad impegnarsi in prima persona. Da qualche mese sta girando l’Italia per chiudere accordi con le varie imprese su una diminuzione delle emissioni. In pratica se la politica non ci dà una mano, facciamo da soli. E’ questo il pensiero che sta alla base dell’accordo. Un accordo che, al momento, ha già coinvolto 28 tra le più grandi aziende del Paese, e che ha ottenuto anche la “benedizione” del presidente della Confindustria, Emma Marcegaglia.

10 punti da tenere a mente in vista di Copenaghen

copenhagen congress center

Con tutti i contrastanti e mutevoli impegni nazionali sul tavolo per il COP15, l’accordo che si spera di trovare a Copenaghen, è molto facile per chi non segue con attenzione questo evento perdere di vista ciò che deve realmente accadere. Per chi fosse interessato, il WWF ha proposto una rapida panoramica di 10 punti che vale la pena prendere in considerazione:

1. Il quadro è giuridicamente vincolante. Ognuno deve accettare di essere legalmente vincolato ad un trattato globale sul clima con una modifica del protocollo di Kyoto ed un nuovo protocollo di Copenaghen, che “assicuri la sopravvivenza di Paesi, culture ed ecosistemi” e aiuti a preparare il terreno per una futura economia con basse emissioni di carbonio.

2. Il picco delle emissioni di carbonio deve arrivare prima del 2017. Se siamo in grado di fare questo abbiamo una migliore possibilità di mantenere l’aumento della temperatura globale sotto i 2 °C, e di avere il tempo per prendere provvedimenti. Più avanti arriverà il picco, minori saranno le possibilità di salvezza.

Il Libro Bianco Atradius: la sostenibilità è vantaggiosa

emissioni co2

Sostenibile non vuol dire commercialmente svantaggioso. Anzi. Parola del Libro Bianco Atradius, dal titolo “Is sustainability incompatible with business growth?“: “la sostenibilità è incompatibile con la crescita commerciale?”. E la risposta è: no. Non lo è. Lo dice questo Libro Bianco rivolto ad imprese ed istituzioni, realizzato da Atradius, e cioè una delle principali società sa livello internazionale nel settore dell’assicurazione dei crediti. Oggi c’è stata a Bruxelles la presentazione, presso la sede del Parlamento europeo.

Ed ecco cosa ci racconta il Libro Bianco, che in versione integrale in inglese lo trovate qui: racconta che le aziende in “green”, le imprese che adottano comportamenti dalla parte dell’ambiente e li mettono al centro dei loro affari, hanno, udite udite, dei tanto agognati vantaggi commerciali. Ricavi che vanno a “colmare”, per Atradius, le spese sostenute per andare in questa direzione.

Un’ottima notizia, si direbbe.

De Boer: “il vertice di Bangkok è per ora un fallimento”

vertice di bangkok

Gli sforzi per convincere le nazioni ricche ad inasprire i tagli alle emissioni non sono riusciti a fare molta strada nei colloqui sul clima nella capitale thailandese, Bangkok. A spiegarlo è stato il portavoce dell’ONU, che ha reso noto che delegati provenienti da circa 180 nazioni, riuniti in Thailandia per cercare di ridurre le differenze sui modi di ampliare e approfondire la lotta contro i cambiamenti climatici, non hanno trovato una soluzione globale al problema.

I colloqui, che si concluderanno il 9 ottobre prossimo, sono l’ultima grande sessione negoziale prima che i ministri dell’ambiente si incontrino a Copenhagen per tentare di sigillare un patto più severo a livello mondiale, per sostituire il protocollo di Kyoto.

I progressi verso la riduzione delle emissioni dei Paesi altamente industrializzati rimane deludente. Non stiamo vedendo progressi reali

ha affermato Yvo de Boer, capo della commissione cambiamenti climatici delle Nazioni Unite.

La Cina fissa al 2050 il limite per il taglio delle emissioni

emissioni cinesi

Finalmente anche la Cina ha deciso di aderire seriamente al taglio delle emissioni, e non soltanto a parole come ha fatto fino a questo momento. Il problema è che inizierà le operazioni per diminuire le proprie emissioni di carbonio entro il 2050. A stabilirlo è stato il maggiore consigliere sul cambiamento climatico cinese, Su Wei, uno dei politici più influenti, intervistato sabato scorso dal Financial Times. E’ una data molto remota, ma almeno si tratta della prima volta che la nazione ha fisstato un periodo di tempo.

In Cina le emissioni non continueranno ad aumentare dopo il 2050

ha detto Wei, direttore generale dell’Istituto nazionale per lo sviluppo e la riforma del dipartimento della Commissione sui cambiamenti climatici. La Cina attualmente è in concorrenza con gli Stati Uniti per il posto in cima alla classifica mondiale sulle nazioni che sono le maggiori produttrici di emissioni di gas a effetto serra, e per questo la sua posizione al riguardo sarà al centro dell’attenzione ancor prima dell’inizio dei negoziati sul clima che si terranno a dicembre a Copenaghen (Danimarca).

Le emissioni globali continuano ad aumentare: 40% in più del previsto

inquinamento

Le emissioni globali di biossido di carbonio nel 2008 sono salite dell’1,94% all’anno per un totale di 31,5 miliardi di tonnellate metriche, secondo l’istituto delle energie rinnovabili tedesco IWR.

L’istituto privato, che ha sede a Muenster e fornisce consulenza ai ministeri tedeschi, ha dichiarato che il biossido di carbonio (CO2), lesivo per l’ambiente, è aumentato per il decimo anno consecutivo, in contrasto con i programmi del protocollo di Kyoto del 1997, volti a cercare di ridurre le emissioni di CO2 del 5,2% entro il 2012.

Comuni ricicloni: le piccole iniziative continuano a salvare l’Italia

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Come ogni anno Legambiente analizza i dati dei comuni di tutta Italia in base alle norme del riciclo (percentuale di raccolta differenziata, recupero dei rifiuti ingombranti, ecc.), suddividendo questa attività non solo in base alla locazione geografica, ma soprattutto in base al tipo di riciclo, da quello classico (carta, vetro) fino ai materiali del riciclo di “nuova generazione”, come i toner, le sorgenti luminose, oli vegetali, e tutti quei materiali che fino a pochi anni fa non si sapeva nemmeno che si potessero recuperare.

Il primo dato che salta all’occhio è che, com’era facilmente prevedibile, i cosiddetti comuni “ricicloni”, quelli cioè che applicano qualche forma di recupero dei rifiuti, sono aumentati di circa 200 unità, per la maggior parte alle due estremità della penisola, visto che al Centro sono passati da 41 a 42. Diminuisce il divario tra Nord e Sud, con i comuni settentrionali che nel 2008 rappresentavano l’89,5% dei ricicloni, ed invece oggi sono l’86,9% grazie ad un leggero recupero di quelli meridionali.

Sono le Regioni del Nord comunque le più virtuose, con uno strapotere del Veneto che contiene il 64% dei comuni con un buon tasso di raccolta differenziata rispetto al numero totale dei comuni della Regione. Sul podio troviamo Lombardia, ma con una percentuale di molto inferiore, “solo” 25,2%, anche se in termini assoluti è la Regione che ricicla di più con i suoi 389 comuni, e Friuli Venezia Giulia.

Ad ogni Paese il suo, ecco gli obiettivi climatici dei grandi della Terra

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Questa settimana abbiamo visto le nazioni del G8 impegnarsi a ridurre le emissioni di anidride carbonica dell’80% entro il 2050, il che significa che i Paesi più ricchi del mondo hanno fissato alcuni obiettivi climatici piuttosto rigidi. In teoria, almeno. Le azioni, naturalmente, sono più eloquenti delle parole. Quindi diamo un’occhiata proprio a queste azioni, quelle reali, che inquadrano i veri obiettivi delle più grandi economie del mondo, non soltanto quelle del g8.

Stati Uniti d’America: obiettivi climatici dubbi. Negli Usa attualmente, tutti hanno avuto modo di notare un controsenso. Di recente è passata la legge Waxman-Markey, la quale mira a ridurre le emissioni del 17% entro il 2020, per ritornare all’incirca ai livelli del 2005. La norma internazionale ampiamente accettata è che la riduzione miri a raggiungere i livelli del 1990. L’obiettivo è buono, ma difficile da raggiungere perché la riduzione delle emissioni dovrebbe come minimo raddoppiare per poter almeno avvicinarsi al limite finale dell’80%.

WWF: critiche ai Paesi del g8 sugli impegni per l’ambiente

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Tra una settimana a L’Aquila si riuniranno i cosiddetti 8 “grandi” della Terra per discutere di economia, pace, sviluppo, ma anche di ambiente. Finché si tratta di materie economiche, nulla da obiettare. Si sa che questi 8 Paesi si danno molto da fare in questo ambito, e sono i più avanzati al mondo. Ma quando si comincerà a parlare d’ambiente, molti di essi farebbero bene ad alzarsi e ad uscire dalla sala, magari lasciando spazio a chi per l’ambiente sta facendo qualcosa di concreto (come Sudafrica, Cina e India).

Stiamo parlando in special modo dei tre Paesi più grandi che partecipano al Congresso, Canada, Stati Uniti e Russia, i quali sono troppo indietro rispetto agli accordi presi sul protocollo di Kyoto e sulle politiche ambientali. Queste nazioni sono state capaci di fare tante promesse senza quasi mai mantenerle, anche se un minimo di speranza ora per gli States c’è, visto che, con l’insediamento di Barack Obama, qualcosa si è mosso, tanto da far scollare il suo Paese dall’ultimo posto, e fargli guadagnare una posizione.

Tra gli 8 grandi, fanno sapere dal WWF, sono solo tre quelli che, seppur non con meriti eccezionali, sono riusciti a mantenersi almeno al passo con le promesse, raggiungendo i propri obiettivi: Germania, Regno Unito e Francia. L’Italia invece si ritrova, insieme al Giappone, ai piedi del podio, ma senza grandi risultati. Quello che mantiene in una posizione elevata l’Italia, come al solito, non è il Governo, ma gli italiani stessi.

Investimenti mondiali nell’ecologia, a che punto siamo e cosa serve per il futuro

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L’aumento degli investimenti nel settore delle energie rinnovabili degli ultimi anni ha ammorbidito i mercati, i quali hanno cominciato ad abbassare i costi di produzione, in particolare nei settori eolico e solare, in modo da far scendere i prezzi e renderli accessibili a tutti. Il prezzo dei moduli fotovoltaici solari, per esempio, è previsto che scenda di oltre il 43% nel 2009.

Nonostante le turbolenze nei mercati finanziari mondiali, il valore della transazione del mercato globale del carbonio è cresciuto dell’87% nel corso del 2008, raggiungendo un totale di 120 miliardi di dollari. In seguito all’iniziativa dell’Unione europea per il rispetto del protocollo di Kyoto, numerosi Paesi stanno ora mettendo a punto un sistema di mercati interconnessi di carbonio e di lavoro verso un regime globale sotto la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC).

Su base regionale, gli investimenti in Europa nel 2008 sono stati di 49,7 miliardi di dollari, con un incremento del 2%, a differenza del Nord America che ha investito “solo” 30,1 miliardi, con un calo dell’8%. Queste aree hanno registrato un rallentamento nel finanziamento di nuovi progetti di energia rinnovabile per la mancanza di operazioni di finanza e progetti a causa della crisi economica. Ma chi regge tutto il gioco sono i Paesi in via di sviluppo, che hanno aumentato del 27% rispetto al 2007 i propri investimenti, i quali rappresentano un terzo di quelli globali.

Trattato di Copenaghen: la bozza della discussione

inquinamento

Il fattore che ha più ostacolato il mondo verso una svolta ambientalista probabilmente è stato il considerare tutti i Paesi uguali. Molte nazioni, come gli Stati Uniti o i Paesi del Nord Europa hanno fatto tanto, ma per rispettare i parametri del Protocollo di Kyoto o di altri trattati internazionali, chiedevano che anche gli altri Paesi facessero la loro parte.

E’ proprio questo il punto di partenza della nuova carta su cui si discuterà a dicembre nel congresso di Copenaghen: analizzare la situazione industriale di ogni Paese e prendere gli adeguati provvedimenti per una svolta ecologica. In definitiva l’obiettivo principale è quello di mantenere l’aumento della temperatura globale al di sotto dei due gradi. Per cause naturali infatti la temperatura della Terra è destinata ad alzarsi, e di certo l’uomo, per com’è la situazione adesso, non può sperare di fermare la colonnina di mercurio.

Ma siccome l’inquinamento, le attività umane e soprattutto la deforestazione stanno aumentando il tasso di riscaldamento, secondo molte stime se non dovessimo prendere provvedimenti in tempo, questi due gradi potrebbero anche diventare 3, 4 o anche di più. Le conseguenze le conosciamo benissimo: scioglimento dei ghiacciai, sollevamento delle acque, inaridimento e desertificazione. In pratica la distruzione di gran parte del Pianeta.