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Permafrost può scomparire già con un aumento delle temperature di 1,5 gradi

permafrost scomparire aumento temperatureL’obiettivo mondiale per tenere sotto controllo il riscaldamento globale è di non aumentare le temperature medie di oltre 2 gradi centigradi. Purtroppo, nonostante si tratti di un innalzamento importante, il mondo scientifico ha più volte espresso scetticismo nella possibilità di farcela, ed in molti hanno affermato che le temperature medie nei prossimi decenni saliranno di 3 o anche 4 gradi. Purtroppo però una recente ricerca afferma che pure se riuscissimo a rimanere sotto i 2 gradi, le conseguenze per l’ambiente sarebbero catastrofiche.

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Riscaldamento globale, la NASA conferma la pericolosità del permafrost

riscaldamento globale nasa pericolosità permafrostNe avevamo già parlato lo scorso anno, a proposito di una ricerca pubblicata sull’Indipendent, che aveva dimostrato come sotto lo strato di ghiaccio Artico ci fosse uno strato di permafrost che poteva emettere, se perforato, una quantità di gas serra talmente elevata da far impallidire tutti gli sforzi per ridurre la CO2. Oggi arriva la conferma nientemeno che dalla NASA, la quale lancia anche l’allarme visto che il pericolo è concreto.

Il permafrost sta retrocedendo e potrebbe sparire nell’immediato futuro

permafrost

Il limite meridionale di terreno perennemente ghiacciato, meglio conosciuto come permafrost, ora è 130 km più a Nord di quanto lo fosse 50 anni fa nella regione della Baia di James, secondo due ricercatori del Dipartimento di Biologia presso l’Université Laval. In un recente numero della rivista scientifica Permafrost and Periglacial Processes, Serge Payette e Simon Thibault suggeriscono che, se la tendenza dovesse continuare, il permafrost nella regione potrebbe completamente sparire nel prossimo futuro.

I ricercatori hanno misurato la ritirata del confine del permafrost osservando cumuli noti come “palsas“, che si formano spontaneamente sul ghiaccio contenuti nel terreno delle torbiere del Nord. Le condizioni in questi tumuli sono favorevoli allo sviluppo della vegetazione tra la più disparata (licheni, arbusti, abete rosso e abete nero, ecc.) che ne facilita la nascita su quel terreno.

Ecco come reagirà l’Artico al cambiamento delle temperature

permafrost artico

Con il riscaldamento dell’Artico, il permafrost si degrada, potenzialmente portando a conseguenze di un aumento del deflusso delle acque sotterranee nella terra gelata, in cui era rimasta bloccata, sciogliendo tale ostacolo e facendo riprendere il flusso interrotto. Per studiare come i sistemi idrici sotterranei si evolveranno in seguito all’aumento delle temperature in superficie, V. F. Bense, ricercatore della School of Environmental Sciences, University of East Anglia, Norwich, UK, e colleghi, hanno sviluppato un modello per simulare una falda acquifera idealmente coperta da uno strato di permafrost.

Avviando la simulazione, sono stati presi in considerazione tre scenari possibili, a partire da tre temperature di superficie iniziale (-2, -1,5, e -1 gradi centigradi, o 28,4, 29,3 e 30,2 gradi Fahrenheit), corrispondenti a diversi spessori del permafrost. In ogni caso, i ricercatori sono arrivati ad osservare come, in seguito all’aumento della temperatura media della superficie stagionale di 3 gradi C (5,4 ° F) in più di 100 anni, la regione artica è in grado di reagire. I 3 gradi sono una media dei modelli di previsione per l’aumento della temperatura nell’Artico nel prossimo secolo, ed una stima tra le più ottimistiche per il resto del mondo.

Il carbonio presente nell’Artico potrebbe affossare qualsiasi lotta contro i cambiamenti climatici

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In un nuovo studio pubblicato sulla rivista Ecological Monographs, alcuni ambientalisti stimano che le terre artiche e gli oceani siano responsabili fino al 25% dell’immissione globale di anidride carbonica nell’atmosfera. Sotto le previsioni attuali del riscaldamento globale, questo dissipatore artico potrebbe essere diminuito o invertito, potenzialmente accelerando i tassi previsti del cambiamento climatico.

Nel documento, redatto da David McGuire del US Geological Survey e dell’Università di Fairbanks in Alaska e dai suoi colleghi, si dimostra che l’Artico è stato un deposito di carbonio a partire dalla fine dell’ultima era glaciale, che nel tempo ha rappresentato tra zero e 25%, o in termini assoluti fino a circa 800 milioni di tonnellate, del totale del carbonio terrestre. In media, dice McGuire, lo stoccaggio artico per il 10-15% affonda il carbonio sotto terra. Ma la rapidità dei cambiamenti climatici nella regione artica – circa il doppio di quella a latitudini più basse – potrebbe eliminare il tappo ed eventualmente far diventare l’Artico una fonte di biossido di carbonio.