Stabilito il tempo che rimane ai panda: 2 o 3 generazioni e poi spariranno del tutto

panda appena nati

Ieri ci siamo occupati di un animale molto importante per la natura e la catena alimentare, il leone, che rischia di sparire dall’Africa. Ma se il re della savana ha ancora a disposizione qualche decennio per tentare di sopravvivere, c’è un altro animale molto più indifeso che rischia di sparire molto prima: il panda.

Scelto non a caso come simbolo del WWF, in quanto animale in via d’estinzione già da qualche decina d’anni, ora il tipico animale cinese ha letteralmente i giorni contati. Abbiamo tutti sentito che il panda gigante ha diversi problemi quando si tratta di riproduzione. Dopo diversi tentativi effettuati negli zoo e nei parchi nazionali di tutto il mondo, si è riuscito a capire che anche nelle migliori circostanze, questi pachidermi si riproducono molto lentamente. Sotto accusa è il fatto che ciò avviene contro natura, cioè in maniera obbligata dall’uomo e non in modo naturale nel suo habitat. Anche perché con la distruzione del suo territorio, il panda in Cina si ritrova diversi ostacoli sul cammino (per lo più  strade e autostrade), e perciò fa molta fatica a trovare il compagno/a, minacciando di ridurre il numero di esemplari in maniera molto grave.

La Cina fissa al 2050 il limite per il taglio delle emissioni

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Finalmente anche la Cina ha deciso di aderire seriamente al taglio delle emissioni, e non soltanto a parole come ha fatto fino a questo momento. Il problema è che inizierà le operazioni per diminuire le proprie emissioni di carbonio entro il 2050. A stabilirlo è stato il maggiore consigliere sul cambiamento climatico cinese, Su Wei, uno dei politici più influenti, intervistato sabato scorso dal Financial Times. E’ una data molto remota, ma almeno si tratta della prima volta che la nazione ha fisstato un periodo di tempo.

In Cina le emissioni non continueranno ad aumentare dopo il 2050

ha detto Wei, direttore generale dell’Istituto nazionale per lo sviluppo e la riforma del dipartimento della Commissione sui cambiamenti climatici. La Cina attualmente è in concorrenza con gli Stati Uniti per il posto in cima alla classifica mondiale sulle nazioni che sono le maggiori produttrici di emissioni di gas a effetto serra, e per questo la sua posizione al riguardo sarà al centro dell’attenzione ancor prima dell’inizio dei negoziati sul clima che si terranno a dicembre a Copenaghen (Danimarca).

Bici elettriche, è boom in Cina

bici-elettriche-cinaMigliaia di cinesi hanno optato per la bici elettrica come mezzo di trasporto, facendo registrare un vero e proprio boom di vendite nel settore.
Da sempre il vasto Paese asiatico ha detenuto il primato di regno delle due ruote (una bici ogni tre abitanti), ma negli ultimi anni la tendenza si è spostata verso le bici elettriche e gli scooters, mezzi più pratici, veloci, ideali per andare a lavoro evitando gli ingorghi e soprattutto gli affollatissimi trasporti pubblici cinesi.

I lavoratori stanchi di essere stipati come sardine sui mezzi pubblici o di pedalare anche su lunghe distanze per raggiungere il posto di lavoro, e di arrivare sudati, hanno convenuto che la migliore soluzione è proprio la bicicletta elettrica, la cui spesa è sostenibile anche da chi non può permettersi di comprare un’automobile e di coprire i costi esosi del carburante per mantenerla.
Quando piove i ciclisti cinesi si coprono con una mantella plastificata e riescono comunque a raggiungere il posto di lavoro asciutti.

Tartarughe marine, il commercio Usa-Cina mette a rischio più di una specie

estinzione-tartarughe-marineOgni anno milioni di tartarughe marine statunitensi che vengono allevate o catturate allo stato selvatico finiscono sulla tavole dei cinesi, dove l’antica prelibatezza riservata alle èlites è divenuta purtroppo facilmente abbordabile anche dalle masse.
La crescita delle esportazioni di tartarughe dagli Stati Uniti al mercato cinese è in picchiata.

I cinesi non usano le tartarughe marine solo come piatto prelibato, ma utilizzano anche parti dell’animale nella medicina tradizionale cinese, come potenziamento del sistema immunitario e miglioramento delle prestazioni sessuali.
Gli ambientalisti temono che questa forte domanda provocherà l’estinzione di alcune delle specie di tartarughe d’acqua dolce diffuse negli Stati Uniti.
Ecco perché lo Stato della Florida ha appena approvato una nuova legge che pone fine all’allevamento a fini commerciali delle tartarughe.

La nuvola di polvere cinese compie il giro del mondo in due settimane

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L’anidride carbonica emessa in Cina aumenta i livelli di biossido di carbonio ovunque. Polveri e particolato tendono ad avere il loro massimo impatto a livello locale, ma si possono rilevare anche in una rete molto più vasta.

Nuove ricerche effettuate su una massiccia tempesta di polvere nel 2007, iniziata nel deserto del Taklimakan Xinjiang, ha rivelato una nuvola di polvere che ha fatto un insolito viaggio in tutto il mondo, superando gli Stati Uniti, Europa e Asia prima di tornare all’Oceano Pacifico, dove ha depositato alcune delle sue polveri e sostanze minerali in mare.

Tali nubi di polvere massiccia, nel loro viaggio, provocano inquinamento degli ecosistemi distanti. Esse riescono anche ad oscurare il sole, le strade, la visibilità e conciliano gli effetti del cambiamento climatico. Le nubi di polvere della Cina sembrano essere la più grande causa di desertificazione. La Cina, il più grande Paese al mondo, è per quasi un quarto tutto deserto, e il deserto avanza a più di 2.000 km quadrati all’anno.

Usa-Cina: intesa firmata sulla ricerca verso un futuro rinnovabile

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Le due maggiori responsabili delle emissioni di gas ad effetto serra al mondo hanno appena ratificato un innovativo accordo di cooperazione sullo sviluppo di tecnologie energetiche pulite. Un centro di ricerca da 15 milioni di dollari avrà sedi sia negli Stati Uniti che in Cina, e segna un passo in avanti verso il miglioramento dei rapporti tra i due Paesi che hanno idee molto diverse sul cambiamento climatico. Forse è ancora più importante sottolineare che questo potrebbe accelerare il processo di sviluppo di tecnologie energetiche più pulite utilizzabili in tutto il mondo.

Il settore delle energie rinnovabili cinese è in aumento. Il Paese è già diventato il più grande produttore di pannelli solari, e i suoi 6 progetti eolici genereranno una quantità di energia senza precedenti: tra i 10.000 e i 20,000 megawatt ciascuno. Ma il centro di ricerca è impostato per concentrarsi su alcuni settori specifici. Secondo l’Associated Press:

il centro si concentrerà sul carbone pulito e su edifici e veicoli, ha detto il Segretario all’Energia degli Stati Uniti Steven Chu. Esso mette in evidenza il potenziale di cooperazione USA-Cina in un settore che Washington dice potrebbe creare migliaia di posti di lavoro.

Museo Nazionale cinese di Ningbo, il primo museo letteralmente riciclato

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A prima vista, il nuovissimo Museo Storico di Ningbo, in Cina, sembra come è stato per secoli, modellato da forze naturali. Ma guardando bene le pratiche locali di costruzione ed i reperti archeologici che contiene, si nota come la facciata del museo è costruita da mattoni riciclati provenienti dalla zona, un residuo di ex zone agricole devastate dall’acceso sviluppo del quartiere alla periferia Sud della città di Ningbo in piena espansione.

La forma, scolpita geologicamente tra le montagne circostanti, è un’idea dell’architetto Wang Shu, interessato all’antica pratica di costruire in modo da riflettere le impostazioni della natura. Spiega lo stesso architetto che:

Nella tradizione cinese, ogni volta che la natura è stata notevolmente danneggiata, le persone tendono a ricrearla in forme artificiali per soddisfare il loro desiderio di essere più vicini alla natura stessa. Io chiedo ai miei studenti di usare il minor numero possibile di “aggettivi” perché essi possono facilmente farli diventare troppo sentimentali.

Wang definisce la sua architettura essenziale, a volte lasciando i suoi edifici dissolversi nel loro ambiente circostante. Adagiato su un piccolo torrente, il museo richiama molto la tradizionale pittura ad inchiostro del paesaggio, un modulo, nota Wang, in cui le strutture umane sono quasi assenti.

Il colosso cinese fa promesse ecologiche, ma siamo sicuri che le manterrà?

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Da qualche tempo si è diffusa la notizia che la Cina sta intraprendendo una via ecologica nello sviluppo della sua economia. Oltre che su queste pagine, i media di tutto il mondo fanno a gara per elogiare gli annunci di Pechino, salvo poi mantenere delle riserve sulla sua effettiva applicazione. Secondo un articolo dell’Associated France Press lo sviluppo sostenibile cinese non è poi così incoraggiante.

La Cina è ancora un paese in via di sviluppo e il compito che la caratterizza attualmente è sviluppare la propria economia e ad alleviare la povertà, così come aumentare la qualità della vita della sua gente. Dato che è naturale che la Cina possa avere un aumento nelle emissioni, non è possibile, in tale contesto, accettare un obiettivo vincolante o obbligatorio.

Il portavoce del ministero degli esteri cinese Qin Gang indica che la crescita dovrà proseguire sulla strada delle basse emissioni di carbonio. E’ comprensibile il desiderio della Cina di sviluppare la sua economia, ma pare proprio che questo possa avvenire al costo di nuove emissioni di anidride carbonica le quali, considerandole pro capite, è facile immaginare saranno importanti.

Usa, Cina, Ue: la corsa all’energia pulita è iniziata

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30 anni fa le superpotenze mondiali si sfidavano per tentare di vincere la corsa allo spazio. Oggi, in una crisi ambientale terribile, si sfidano per il ruolo di leader nell’ecologia. Una corsa che per primo ha intrapreso il Parlamento di Bruxelles, ma che vede come avversari più forti e preparati Pechino e Washington. Cerchiamo di capire chi è in vantaggio e chi può arrivare a vincere la gara.

L’Unione Europea è stata senza dubbio, come dicevamo, la prima in assoluto ad intraprendere politiche verdi, in quanto ha ratificato il protocollo di Kyoto in toto (gli Stati Uniti solo in parte e la Cina per niente) e ha stabilito il famoso accordo del 20-20-20 contestato da più parti. I punti che però svantaggiano l’Europa riguardano le diversità di politiche e di tecnologie disponibili tra i vari Paesi. Mentre ci sono alcune nazioni con un ritmo di crescita ecologica impressionante (vedi Germania, Danimarca, Francia e Gran Bretagna), le quali già da anni hanno intrapreso il cammino delle rinnovabili, ci sono anche altri Paesi (come la Romania, la Polonia ed in generale tutto l’Est Europa) che vanno avanti ancora con il carbone, e che le energie rinnovabili non sanno nemmeno cosa siano.

Ecco un vero piano ecologico nazionale: 35% di energia pulita entro 10 anni

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I Paesi che si dicono attenti all’ecologia e che si auto-nominano ecologici, dovrebbero guardare a quelli che invece fanno veramente qualcosa e prendono concretamente degli impegni. Mentre in Europa si continua a litigare tra chi vuole il 20% dell’energia pulita entro il 2020, chi ne vuole di più e chi ne vuole di meno (e chi non ne vuole proprio come l’Italia), dall’altra parte del mondo c’è un Paese che si candida a diventare il più grande produttore di energia pulita al mondo. No, non stiamo parlando degli Stati Uniti, ma della Cina.

I famigerati impianti alimentati a carbone, tanto messi sotto accusa per l’alto tasso di inquinamento, attualmente sono la prima causa delle emissioni di gas a effetto serra al mondo. Questi però andranno via via scomparendo, dato che per il suo futuro la Cina ha promesso che il 35% del fabbisogno energetico nazionale proverrà da fonti di energia pulita entro il 2020. Il Governo di Pechino ritiene che l’obiettivo sarà generare circa 570 gigawatt di energia pulita all’anno, un bel passo avanti per il più grande impero economico inquinante al mondo.

Può l’energia pulita scatenare una nuova Guerra Fredda?

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La maggior parte degli occidentali pensa che l’indipendenza energetica sia un obiettivo importante. La nostra dipendenza dal petrolio estero, ma anche dal gas e dal nucleare, costano troppo. Per non parlare dei danni a livello ambientale che questi combustibili provocano. Quindi, la generazione di energia rinnovabile potrebbe essere sufficiente a sostenere l’intero mondo Occidentale ed il clima? Alcune agenzia di difesa, soprattutto americane, non la pensano così ma, al contrario, sostengono che il raggiungimento dell’indipendenza energetica potrebbe inavvertitamente avviare una strategia globale di Guerra Fredda.

La tesi dovrebbe essere più o meno questa: diventando isolazionisti e rinunciando all’energia “sporca”,questo potrebbe provocare un’altra guerra fredda che incoraggerebbe uno scenario in cui la Cina e la Russia si impadronirebbero di quelle risorse di cui l’Occidente non ha più bisogno per tenere sotto scacco quelle nazioni ancora arretrate che dipendono da esse. La loro politica energetica espansionista lascerebbe le altre nazioni in balìa dei loro capricci, facendoli diventare sempre più potenti, fino a ritornare una maggiore minaccia per i Paesi filo-americani. Secondo il dipartimento della Difesa americano l’isolazionismo energetico non è un’opzione realistica.

Parte il mega-programma sulle energie pulite anche in Cina

Ennesima mossa ecologica proveniente dal Paese più odiato dall’Occidente, di cui nessuno dà notizia. La Cina ha appena annunciato che sta redigendo un piano di stimolo per rafforzare le sue industrie energetiche basate sulle fonti rinnovabili. Forse ispirata da qualche altra nazione, visto che la ricerca e la libertà di pensiero in Cina non sono delle migliori, ha recentemente deciso di usare i fondi pubblici per sostenere il nascente settore delle energie rinnovabili, in modo da rafforzare immediatamente i piani ecologici, per far diventare quella nazione il Paese con la più grande industria solare ed eolica del mondo. Un pò da megalomani, ma un Paese da un miliardo e mezzo di abitanti se lo può permettere. Ma qual è il grande piano di energie rinnovabili proposto?

I dettagli sono vaghi, ma molto probabilmente il piano prevede di fornire maggiori sovvenzioni pubbliche alle aziende del settore. Per ora abbiamo solo l’annuncio che un piano è in fase di elaborazione, e questo è stato sufficiente a causare un agitazione nel paese che ha cominciato a produrre turbine eoliche a più non posso, aumentando la propria produzione del 10%. Il settore del solare invece, secondo le rilevazioni di Bloomberg, è passato da una produzione del 4% al 9%.

Una scomoda verità…al contrario, parte seconda

Oggi tenteremo di concludere la confutazione dell’articolo dell’Indipendent dei giorni scorsi, il quale tenta di smontare la maggior parte delle tesi ambientaliste perché ritenute delle false verità dal giornale britannico. Ieri la prima parte (per chi se la fosse persa, basta cliccare qui), oggi invece completiamo il quadro, partendo però dal dar ragione, su un aspetto, al giornalista dell’Indipendent, il quale oggi ci trova d’accordo su molti punti.

Una delle sue tesi infatti è che le auto ibride non facciano risparmiare così tanto in termini di impatto ambientale. Secondo quanto riportato nell’articolo, la prima auto di questa generazione, e sicuramente la più famosa, la Toyota Prius, non farebbe risparmiare del carburante, ma anzi, in termini di emissioni, consumerebbe anche di più di un modello diesel di 10 anni prima. In un esperimento si è misurato quanto carburante viene utilizzato per alimentare entrambi i motori della Prius (anche quello elettrico ha i suoi consumi), confrontandolo su un lungo viaggio con il consumo di una Bmw. Si è notato quindi che l’auto ibrida consumava leggermente di più in termini di carburante, e faceva risparmiare il guidatore soltanto quando pagava la tassa del casello autostradale o quando girava nel centro cittadino. Se i dati sono corretti, potrebbe anche andar bene questa obiezione. Ma stiamo sempre parlando di un auto del 1997, la prima del suo genere. Sono sicuro che se il giornalista provasse una delle auto più moderne, le rilevazioni sarebbero ben diverse.

Inquinamento cinese? Colpa dell’Occidente

Sulla scia della visita incentrata sul clima di Hillary Clinton a Pechino, una nuova relazione dettagliata dimostra quanta CO2 l’Occidente “provoca” alla Cina, quando acquista il “made in China”. Circa il 9% del totale delle emissioni cinesi sono il risultato della produzione delle merci per gli Stati Uniti, mentre il 6% proviene dalla produzione di merci per l’Europa. Ma chi è responsabile, e come si può ovviare a questa situazione?

Il dato del 15% totale delle emissioni prima dimostrate dev’essere almeno raddoppiato se consideriamo i costi di trasporto, effettuati nella quasi totalità da imbarcazioni cinesi perché meno costose, e dallo smaltimento dei residui della lavorazione per i prodotti Occidentali. Da questo si evince che almeno un terzo delle emissioni cinesi sono di responsabilità europea e americana. La nuova ricerca, che sarà pubblicata questo mese sulla rivista scientifica Geophysical Research Letters, mostra che circa un terzo di tutte le emissioni di carbonio cinese tra il 2002 e il 2005 sono ampiamente dimostrabili di provenienza Occidentale. Ovviamente non si può pensare che dal 2005 ad oggi la situazione sia cambiata di molto.