Antica estinzione degli ecosistemi: colpa del riscaldamento globale

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Un gruppo di scienziati irlandesi ha trovato la prova di un’improvvisa estinzione nella biodiversità vegetale. Uno scrigno di 200 milioni di anni che conteneva foglie fossili raccolte nella parte Orientale della Groenlandia racconta la storia custodita per milioni di anni. I risultati della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista Science.

I ricercatori si sono sorpresi nello scoprire che un probabile candidato responsabile per la perdita della vita vegetale è stato un piccolo aumento di gas a effetto serra di biossido di carbonio, che ha causato un’incremento della temperatura della Terra. Il riscaldamento globale è stata a lungo considerato come il colpevole dell’estinzione di diverse forme di vita, e questa potrebbe esserne una prova.

Secondo Jennifer McElwain della University College di Dublino, autrice dello studio, il biossido di zolfo, dovuto ad ampie emissioni vulcaniche, può essere stato una delle cause delle estinzioni. Esso può aver contribuito all’incremento dell’anidride carbonica.

Il potenziale di stoccaggio del carbonio è alto nelle foreste temperate del Nord America

Le foreste presenti nelle regioni orientali dell’America del Nord hanno un ottimo potenziale di immagazzinamento del carbonio in eccesso. O almeno la pensano così gli scienziati Jeanine Rhemtulla della McGill University e David Mladenoff e Murray Clayton della University of Wisconsin-Madison.
Con i cambiamenti climatici che incombono, la caccia ai luoghi che possono assorbire il biossido di carbonio presente in alte concentrazioni nell’atmosfera è ufficialmente aperta, e si moltiplicano gli studi in questa direzione.

I “pozzi di assorbimento” per il gas ad effetto serra includono gli oceani e gli enormi alberi delle foreste pluviali tropicali. Ma questa recente ricerca ha evidenziato che, al contrario di quanto si era creduto sinora nella comunità scientifica, anche le foreste delle regioni temperate possono svolgere un ruolo determinante nel liberarci dal biossido di carbonio, contrastando in tal modo i devastanti effetti dei mutamenti climatici.

Acidificazione degli oceani, nuovo appello di 150 scienziati

Più di 150 scienziati di 26 Paesi di tutto il mondo si sono uniti per chiedere un’azione immediata da parte dei governi per ridurre drasticamente le emissioni di CO2 in modo da evitare danni gravi e diffusi per gli ecosistemi marini derivanti dall’acidificazione degli oceani.

Gli scienziati hanno rilasciato questo avvertimento lo scorso 30 gennaio a Monaco, sulla base della relazione stilata ad ottobre 2008 nel corso del secondo simposio internazionale sul tema The Ocean in a High-CO2 World.
Il professor Andrew Dickson, un chimico marino dello Scripps Institution of Oceanography, UC San Diego e la professoressa Victoria Fabry sono stati tra i primi firmatari della dichiarazione.

L’acidificazione degli oceani potrebbe avere gravi effetti sugli ecosistemi marini

Le preoccupazioni per l’aumentata acidificazione degli oceani si sono spesso focalizzate sui potenziali effetti del fenomeno sulla barriera corallina, ma una più ampia interruzione dei processi biologici nei mari e negli oceani può avere ripercussioni ancora più profonde sugli ecosistemi marini. E’ quanto afferma Donald Potts, professore di ecologia e biologia evolutiva presso l’Università di California Santa Cruz, nonchè profondo conoscitore della barriera corallina e della biodiversità marina.

Potts ha discusso sul tema “Geobiological Responses to Ocean Acidification” nel corso del Fall Meeting of the American Geophysical Union (AGU) svoltosi a San Francisco il 17 dicembre scorso.
L’acidificazione degli oceani è uno degli effetti collaterali della crescente concentrazione di biossido di carbonio nell’atmosfera terrestre a causa della combustione di combustibili fossili.

Inquinamento da ozono ridurrà la crescita degli alberi del 10% entro il 2100

Le concentrazioni di ozono conseguenza dell’inquinamento troposferico stanno rallentando la crescita degli alberi soprattutto nelle aree temperate della Terra. E’ quanto emerge da un recente studio, pubblicato sulla rivista di divulgazione scientifica Global Change Biology.
La crescita degli alberi, misurata in biomassa, è già diminuita del 7% rispetto alla fine del 1800 ed è destinata ad un ulteriore decremento del 10% entro la fine di questo secolo. In totale ben il 17% in meno rispetto a quello che è il normale sviluppo degli alberi.

L’inquinamento da ozono è quattro volte maggiore rispetto a prima della rivoluzione industriale a metà del 1700; se la dipendenza dai combustibili fossili continua al ritmo attuale, le future concentrazioni di ozono saranno pari almeno al doppio degli attuali livelli già entro la fine di questo secolo, provocando come conseguenza proprio una riduzione nella crescita degli alberi. Lo studio è il primo riepilogo statistico delle singole misurazioni sperimentali di come l’ozono danneggia la produttività degli alberi, compresi i dati provenienti da ben 263 accreditate pubblicazioni scientifiche.

Quanto rumore negli oceani

Gli oceani potrebbero presto diventare più rumorosi del centro di Milano. Come i livelli di biossido di carbonio rendono gli oceani più caldi e acidi, così l’incremento dei gas nel mare può diventare rumoroso per le specie che ci abitano, soprattutto per quelle con un sistema uditivo più sviluppato come delfini e balene.

L’incremento della combustione del materiale fossile come carbone e petrolio nelle ultime decadi ha diffuso sempre più anidride carbonica nell’atmosfera terrestre. La gran parte della quantità di assorbimento (circa il 40%) va agli oceani, che così “bevono” tutto ciò che noi creiamo. Più diossido di carbonio assorbe, più l’acqua diventa acida (per lo stesso concetto che sta alla base delle bibite gassate, che si dicono acide perchè contengono un alta quantità di anidride carbonica).

Danni da biocarburanti, forse non sono così efficienti

Probabilmente sui biocarburanti ci eravamo sbagliati. Ma non solo noi, purtroppo si era sbagliato tutto il mondo. Una nuova analisi americana, pubblicata su Science, ha dimostrato come le coltivazioni di biocarburante ai tropici non è poi così ecologica rispetto alla perforazione petrolifera. Anzi, per certi versi è anche peggio, almeno nel breve termine.

Il primo dubbio è venuto quando si sono confrontati i due effetti sui gas serra. Infatti chi era a favore dei biocarburanti portava come argomentazione che le piante che producono olio di palma o etanolo da mais riciclano biossido di carbonio che utilizzano per crescere. Al contrario il petrolio rimetteva in circolo nell’aria nuovo carbonio che precendentemente aveva prelevato dalle viscere della Terra. Ma in realtà non è tutto così semplice.

La Cina in testa alla classifica dei Paesi con più emissioni di biossido di carbonio

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Visione notturna della Terra: i Paesi illuminati sono quelli industrializzati e maggiormente inquinanti

Per qualche tempo lo scomodo primato di Paese con più emissioni è stato “conteso” tra Stati Uniti e Cina, ma ora è ufficiale che ad occupare il primo posto è lo Stato orientale.
I dati sulla quantità di biossido di carbonio emanato dai vari Paesi sono stati raccolti da un’analisi promossa dal governo olandese.

Nel rapporto si legge che la Cina ha evidentemente superato gli USA, aumentando le emissioni di anidride carbonica dell’8% nel solo 2007.
Questo incremento ci sembra inaccettabile: è così che in Cina si lavora alla riduzione del riscaldamento globale?
Se diminuire le emissioni costa troppo in termini economici e di impegno ecologico, sarebbe sufficiente e sensato se almeno non si peggiorasse l’attuale situazione.

Gli effetti dell’inquinamento da azoto sulle foreste tropicali

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Secondo un recente studio degli ecologisti dell’Università della California Irvine, pubblicato su Science Daily, l’eccesso di azoto nelle foreste tropicali stimola la crescita delle piante del 20%, dimostrando non valida la precedente convinzione che tali foreste non fossero molto interessate dall’inquinamento da azoto.
La più rapida crescita delle piante dimostra come ai Tropici vi sia una maggior quantità di biossido di carbonio di quanto non si era sinora creduto. E l’inquinamento da azoto è destinato ad aumentare considerevolmente nel corso di questo secolo, con gravi conseguenze per il geoclima. L’incremento dell’inquinamento interesserà anche regioni tropicali in via di sviluppo come l’India, il Sud America, l’Africa e il Sud-Est Asiatico. Concimi azotati, applicati a terreni agricoli per migliorare la resa delle colture, evaporano infatti nell’atmosfera, tramite le acque che irrigano le coltivazioni intensive. Per non parlare delle immissioni nell’aria dei gas industriali.

Ci auguriamo che i nostri risultati contribuiscano al miglioramento delle pessime condizioni in cui versa il nostro pianeta”, ha dichiarato David LeBauer, uno dei ricercatori UCI e autore principale dello studio. Utilizzando dati provenienti da più di 100 studi pubblicati in precedenza, LeBauer e Kathleen Treseder, professore associato di ecologia e biologia evolutiva a UCI, hanno analizzato l’effetto dell’azoto sui tassi di crescita dei più diversi ecosistemi: dalle foreste tropicali alle praterie della tundra.
I ricercatori hanno riscontrato in tutti, tranne che nei deserti ovviamente, un aumento della crescita delle piante dovuta ad azoto.