Biodiesel: Italia quarto produttore europeo

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Chi l’ha detto che le auto pulite arriveranno tra decine di anni? Probabilmente sono più vicine di quello che ci aspettiamo. Da qualche anno è scattata in Europa una sorta di “gara” a chi produce più biodiesel, e l’Italia, di solito uno dei Paesi meno attenti all’ambiente, è sorprendentemente tra le prime posizioni.

Si sa che i biocarburanti non sempre sono eco-sostenibili. Se prodotti con materiali cosiddetti “food”, cioè quelli che si mettono in concorrenza con il cibo, sono controproducenti, e dunque nella maggior parte dei casi stanno venendo abbandonati. Ma ci sono diverse produzioni da materiali “no-food”, come fiori, alghe e batteri, in continua espansione sul mercato.

Eco-festival: la musica inaugura il filone ecologico

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Dopo il cinema, anche la musica vuol dare la sua mano all’ambiente, e lo fa con il suo mezzo migliore l’aggregazione tramite concerti. Da oggi fino al 21 agosto in Salento, e dal 2 al 5 settembre all’Idroscalo di Milano ci saranno una serie di eventi che inaugureranno la nuova stagione degli eco-entertainment, cioè degli spettacoli ecologici.

In attesa che anche i grandi cantanti aderiscano all’iniziativa (nell’ultimo tour Ligabue ci ha provato, alimentando parte del suo palco con delle turbine eoliche), alcuni cantanti di un certo livello si esibiranno su palchi di mezza Puglia in un contesto tutto ecologico. Non poteva di certo mancare l’approvigionamento dell’energia elettrica tramite pannelli fotovoltaici. Il sistema di audio e video sarà a basso consumo, probabilmente con luci LED o comunque lampadine a basso consumo, in maniera tale che la sola energia solare accumulata potrà essere sufficiente per dare luce all’evento.

La nuova frontiera della biomassa: le microalghe

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La grande controversia sull’uso delle colture agricole come fonte di energia è ben nota fondamentalmente a causa della sua possibile “concorrenza” con le colture per uso alimentare. L’uso di fonti di natura organica per la produzione di biocarburanti, diverse da quelle utilizzate per le colture tradizionali, potrebbe essere la soluzione al dibattito sociale del settore.

E’ stato necessario rivolgersi a risorse alternative alle colture tradizionali, come la biomassa lignocellulosica e/o microrganismi, tra cui la novità è rappresentata dalle microalghe. In concreto, la produzione di massa da microalghe è in grado di soddisfare questa domanda, dato che non è in concorrenza con il settore alimentare, non hanno bisogno di grandi superfici, né di terreno fertile e massimizzano il risparmio di acqua per la loro produzione. Allo stesso tempo, esse contribuiscono alla valorizzazione ambientale con la cattura di CO2 e può essere integrata in una soluzione salina per lo smaltimento degli scarichi industriali.

Grasshol, il biocarburante che proviene dall’erba

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Riconosciuta ormai in tutto il mondo la pericolosità di affidare ai biocarburanti attuali il futuro del trasporto su automobili, in molte parti del mondo si stanno cercando metodi per evitare che queste colture influiscano fortemente su quelle che producono cibo.

Fino ad ora accadeva infatti che le colture di mais, ma non solo, finivano con l’abbandonare l’industria alimentare per confluire in quella della produzione di bioetanolo, molto più remunerativa. Questo ovviamente incideva sulla salute di migliaia di persone che da un giorno all’altro si ritrovavano senza cibo. Ma i metodi per aggirare l’ostacolo ce ne sono tanti, ed uno arriva dal Galles. Si chiamerà Grasshol, e sarà un biocarburante che proviene dall’erba, nulla di commestibile quindi.

Ecco cosa accade se non preserviamo le foreste dalla riconversione a colture per biocarburanti

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Tutte le più recenti scoperte sulle emissioni prodotte dai cambiamenti nell’uso del territorio devono essere prese in considerazione per determinare se i biocarburanti siano veramente utili come emissioni di carbonio e come fonti di combustibile. Una nuova ricerca svolta presso il Global Change Research Institute mostra che l’inserimento delle emissioni di carbonio dovute alla deforestazione abbassa l’effetto della mitigazione dei cambiamenti climatici. In breve se non cominciamo a gestire le nostre foreste, tutto potrebbero sparire entro il 2100 per fare posto alle colture di biocarburante.

I ricercatori sono giunti a questa conclusione dopo aver utilizzato un computer che progetta un modello economico che prende in considerazione l’energia, l’agricoltura, i cambiamenti nell’uso del suolo, le emissioni e le concentrazioni di gas ad effetto serra per capire meglio come le decisioni umane e i processi naturali interagiscano tra loro nel controllo del clima.

Biocarburanti: finalmente si punta sugli scarti

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Il maggior nemico dei biocarburanti negli ultimi non è stata nè la diffidenza, nè l’arretratezza di certe strutture. Ma semplicemente il principio che il cibo viene prima dell’energia. Molte critiche infatti sono state mosse ai produttori di biocarburanti, soprattutto in Brasile, che preferivano utilizzare ad esempio l’olio di colza, e non solo, il quale andava a diminuire il cibo per le popolazioni che abitavano vicino le piantagioni, e che, per fare spazio a questi enormi campi, portavano al disboscamento di centinaia di ettari di foreste, con tutte le conseguenze che conosciamo.

La soluzione, come spesso accade, era sotto gli occhi di tutti, ma finora nessuno (forse volontariamente) se ne era accorto: bastava affidarsi agli scarti. Se in linea teorica i biocarburanti erano l’alternativa migliore al petrolio (non inquinavano, erano prodotti naturali e riproducibili), in pratica erano molto dispendiosi. E allora la tecnologia ci ha permesso di produrli anche dagli scarti della lavorazione di cereali e legno, utilizzandone le parti non commestibili.

Ue e politica dei biocarburanti, meglio incentivarli o eliminarli?

Le stime attuali affermano che i trasporti sono responsabili di circa il 25% delle emissioni di gas serra connesse all’energia a livello mondiale. Mentre i biocarburanti sono considerati come un possibile strumento per ridurre tali emissioni, sono in discussione i termini di costi-benefici economici dei loro impatti ambientali e sociali.

L’UE promuove la produzione di biocarburanti e ha fissato un obiettivo del 5,75% di biocarburanti nel settore dei trasporti per tutti gli Stati membri dell’Unione entro il 2010, più un obiettivo del 10%, da raggiungere entro il 2020. Attualmente, il biocarburante consiste principalmente in colture seminative, come i cereali, il mais o la colza. L’aumento della quota di tali colture potrebbe condurre allo sviluppo di aree coltivate e, a loro volta, ad una pressione crescente per l’ambiente, la perdita di habitat e la diminuzione della biodiversità, in particolare di boschi, prati, zone umide e torbiere, che vengono convertite in piantagioni di monocolture di biocarburanti.

G8 agricoltura, un buon passo in avanti verso l’agricoltura sostenibile

Ormai in Italia nessuno più si illude che possa cambiare qualcosa dal punto di vista ambientale, però questo genere di incontri, che comportano impegni a livello internazionale in cui i vari ministri ci mettono la faccia, danno almeno un minimo di speranza.

Il nostro Ministro dell’Agricoltura, Luca Zaia, uno dei pochi personaggi positivi dell’attuale Governo, ha condotto molto bene il g8 di Treviso, concludendo, almeno questo, con un documento che significa un impegno concreto da parte delle 8 potenze mondiali per migliorare la situazione del mondo dal punto di vista della produzione e fornitura di cibo, ma anche dal punto di vista ecologico. La frase che meglio riassume questa nuova “speranza” si legge sul documento finale:

rimuovere gli ostacoli all’utilizzo sostenibile dei fattori della produzione agricoli.

Che sia un momento di svolta? Ce lo auguriamo tutti.

Perché non sono convenienti i biocarburanti

Un nuovo studio ha rilevato che ci vorranno più di 75 anni per recuperare le emissioni di carbonio attraverso l’uso dei biocarburanti per compensare le emissioni che si avranno quando le piantagioni per i biocarburanti avranno preso il posto delle foreste. Ma se l’habitat ideale sono le torbiere, il bilancio del carbonio dovrebbe aver bisogno di più di 600 anni.

L’olio di palma, sempre più utilizzato come fonte per i biocarburanti, ha sostituito la soia in tutto il mondo. La produzione mondiale dell’olio di palma è aumentata esponenzialmente negli ultimi 40 anni. Nel 2006, l’85% della produzione mondiale di olio di palma è stata prodotta in Indonesia e Malesia, i Paesi la cui perdita di foresta tropicale è di circa 20.000 chilometri quadrati all’anno.

Il futuro dei biocarburanti sono i microbi

I microbi potrebbero essere la risposta alla crisi energetica globale. Attraverso la fermentazione della biomassa per la produzione di biocarburanti, questi offrono una possibile soluzione rispettosa del clima per la prevista carenza di approvvigionamento di combustibili fossili. Una revisione del professor Arnold Demain della Drew University del New Jersey, su come i microbi potrebbero essere utilizzati per “guarire” dalla crisi energetica è stata appena pubblicata online sullo Springer’s Journal, rivista scientifica che si occupa di Microbiologia e Biotecnologie Industriali.

Secondo il professor Demain, l’economia basata sul petrolio degli Stati Uniti si sta avvicinando alla fine del suo ciclo di vita. Le riserve di petrolio a livello mondiale e le nuove (piccole) scoperte di petrolio nuovo non saranno sufficienti a soddisfare la domanda annua di tutto il mondo, specialmente ora che molti grandi potenze ne stanno richiedendo sempre di più. È pertanto essenziale, per anticipare ed evitare le carenze di approvvigionamento in futuro, fornire l’accesso alle nuove bioenergie alternative per il mercato.

Carburante biodiesel dai residui del caffè, un nuovo oro nero?

Che lo si prepari con la classica caffettiera napoletana piuttosto che con le meno tradizionali moke di nuova generazione, o le caffetterie espresso e a filtro, il caffè resta per molti italiani, e un po’ in tutto il mondo, un piacere irrunciabile.
Ma pensiamo per un momento alla parte che rimane inutilizzata della bevanda, quei resti del caffè che restano depositati nel filtro. Ogni giorno nelle pattumerie delle famiglie o dei bar vanno a finire complessivamente tonnellate di residui provenienti dal caffè. Capita che una parte possa trovare un impiego come fertilizzante in agricoltura. Ma la maggior parte rimane inutilizzata.

Ebbene, un gruppo di ricercatori del Nevada ha studiato il modo di sfruttare questo genere di rifiuti per la produzione di biodiesel, come nuova fonte economica, abbondante ed ecologica per generare carburante che possa alimentare automobili e camion di nuova generazione.

Obama inaugura il “Green New Deal”

Diciamoci la verità, siamo tutti un pò invidiosi dell’America e del nuovo Presidente (ancora non in carica) che si ritrova. Lo vorremmo anche noi un capo del Governo che vede in internet una opportunità anzichè una minaccia, e nell’ecologia il modo per risolvere i problemi dello Stato, e non una scocciatura.

Per fortuna che la nazione-modello del mondo ha deciso una svolta storica, e si tratterà di una svolta ecologica. Annunciando le riforme che Obama attuerà a partire dal prossimo 20 Gennaio, data di insediamento alla Casa Bianca, il discorso del neo Presidente eletto si è incentrato su due punti fondamentali: le infrastrutture e l’ambientalismo. A noi ovviamente interessa il secondo.

Da un fungo della Patagonia arriva il mico-diesel

Al fine di scongiurare il rischio di un’eventuale crisi globale dovuta alla scarsità di petrolio e per tutelare la salute del nostro Pianeta, cresce sempre di più l’attenzione alle fonti di energie alternative, con particolare riguardo alle nuove generazioni di carburanti. L’ultima scoperta in merito arriva dall’America dove un gruppo di scienziati della Montana State University (MSU) ha individuato un particolare fungo capace di produrre delle sostanze chimiche simili al tradizionale combustibile diesel. Si chiama Gliocladium roseum ed è un piccolo micete che cresce nella foresta pluviale della Patagonia, dove è stato scoperto.