Greenpeace, salviamo il Santuario dei Cetacei dal rigassificatore offshore

Il Santuario dei Cetacei viene di nuovo messo in pericolo dall’uomo. Questa volta a mettere a repentaglio la vita di delfini e balene è un progetto di cui pochissimo si è parlato, ma che certo non è sfuggito a Greenpeace.

Si tratta della realizzazione di un rigassificatore offshore davanti la costa tra Pisa e Livorno, dove non solo si trova il Santuario dei Cetacei, ma anche le Secche della Meloria, da poco Area Marina Protetta. Il ministero dell’Ambiente ha dato il via libera alla realizzazione dell’impianto e ad ulteriori modifiche che potrebbero comportare altri danni ambientali.

Caccia scientifica, moratoria balene a rischio

baleneIslanda e Giappone rischiano di far saltare la moratoria sulla caccia alle balene per scopi commerciali. L’allarme è stato lanciato in questi giorni da Greenpeace, dopo la notizia di una richiesta per la riapertura della caccia alle megattere, che verrà presentata dalla Danimarca, per conto, della Groenlandia, sul tavolo della 61/a sessione annuale della Commissione baleniera internazionale (Iwc), che si riunisce dal 22 al 26 giugno a Madeira in Portogallo.

Le megattere sono specie protetta dal 1963 e fungono da modelle per il whale watching. A quanto pare, la Groenlandia vorrebbe poter cacciare 10 megattere all’anno in acque territoriali europee per motivi di sussistenza. Ma, sempre secondo Greenpeace, si tratterebbe di motivazioni false, perchè gli esemplari uccisi ogni anno dalle popolazioni locali soddisfano appieno il fabbisogno del Paese, tanto da non sfruttare nemmeno la totalità delle quote consentite. Ma a preoccupare gli animalisti è soprattutto la ripresa della caccia in Giappone e Islanda.

I rumori umani causano la morte di migliaia di animali marini

I suoni generati dagli esseri umani hanno le potenzialità per incidere in misura significativa sulla vita degli animali acquatici. Finora questo era risaputo per quanto riguardava i delfini e le balene, i quali confusi dai rumori, finivano col perdersi e molto spesso spiaggiarsi. Secondo una nuova ricerca pare che questo però avvenga anche in specie ben diverse da quelle più grandi e che meglio conosciamo.

L’incisività da parte dell’uomo sui singoli animali è in larga misura sul loro benessere, fino alla riproduzione, la migrazione e mette in pericolo persino la sopravvivenza della specie stessa. Secondo questo studio, gli animali marini potrebbero subire effetti negativi che vanno dalla perdita dell’udito ad una maggiore influenza nella propria vita a causa dei rumori ambientali, in modo non dissimile per gli esseri umani e per gli animali terrestri. Come se il vostro vicino decidesse di utilizzare per tutto il giorno un martello pneumatico per tutta la vita. Voi come vi sentireste?

La mattanza delle balene alle isole Far Oer, fermiamo lo scempio


Di immagini crude che documentino la ferocia e la barbarie di cui è capace l’uomo contro le altre specie viventi ne abbiamo diffuse molte: dal massacro delle foche che si perpetua ogni anno in Canada, alla strage degli elefanti in Africa, alla mattanza delle tigri appese come maiali a testa in giù per rifornire il mercato alimentare esotico dei cinesi ricchi.
Oggi vogliamo denunciare un’altra efferata e insensata usanza che si ripete annualmente nelle isole Far Oer, in Danimarca: l’uccisione di centinaia di balene, arpionate e accoltellate in massa da decine di persone, accorse come per un rito, a quello che per loro è un giorno di festa, per i poveri mammiferi un giorno rosso di sangue, un eccidio brutale ed inspiegabile.

L’uomo nasce cacciatore, diranno alcuni, ed è normale che si pratichi la pesca, che si vada a caccia e che si cibi di altre specie viventi. Fin qua ci siamo. Ma come insegnavano gli indiani d’America, i primi veri ecologisti, non bisogna prendere più del necessario da Madre Natura, rispettando ogni animale, ogni pianta come fosse sacra, perché necessaria alla nostra sopravvivenza.
Uccidere gli elefanti per farne bacchette d’avorio, assassinare le tigri per servirle ad un nababbo in camera con la sua amante, massacrare tenerissimi cuccioli di foca per ricavarne pellicce per signore facoltose non è lo stesso che uccidere un orso, come facevano anticamente gli indiani, per ricavarne un cappotto per ripararsi dal gelido inverno.
Così come c’è un’enorme differenza tra pescare per la sussistenza di una popolazione e compiere un massacro scellerato per perpetuare una stupida tradizione.

Allarme WWF: tra 50 anni non ci sarà più biodiversità

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I numeri cominciano a farsi preoccupanti: negli ultimi 35 anni abbiamo perso già un terzo della biodiversità su tutto il pianeta. I dati provengono da una ricerca fatta dal WWF, che da anni sta tentando in tutti i modi di preservare zone e parchi naturali proprio per proteggere le specie di animali e piante in via d’estinzione.

Le cause principali sono tre: prima di tutto, la distruzione degli ambienti. Molte specie animali, che per millenni hanno vissuto tranquillamente nelle loro oasi, adesso se le vedono sottratte a causa dell’invasione umana che gli sta letteralmente togliendo il terreno da sotto i piedi.
La seconda causa è il cambiamento climatico, dovuto ovviamente all’inquinamento, che sta facendo estinguere numerose specie di piante e pesci; e infine il commercio della carne e delle pelli, che miete vittime soprattutto tra le balene e le foche.

Quasi 1000 balene salvate ogni anno da Greenpeace, ma il Giappone non demorde

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Molte specie di balene sono in via d’estinzione, ma questo sembra importare poco al governo giapponese. Infatti il mercato della carne dei grandi cetacei è il fulcro dell’economia del sol levante, che non si cura del rischio di rimanere senza prede tra qualche decina di anni, ma continua a cacciare quelle che ci sono adesso, indistintamente.

La cosa più grave è che, secondo un sondaggio effettuato dal Nippon Research Center Ltd (membro della Gallup International Association), risulta che l’87% dei giapponesi non sa che la caccia alle balene viene finanziata con i propri soldi.
L’istituto di ricerca ha effettuato questo sondaggio su un campione di 1501 persone che vanno dai 15 ai 60 anni. Da qui è emerso che sono il 25% quelli che si oppongono alla caccia, mentre il 31% la sostiene, ma solo nelle proprie acque.