Specie invasive, ne parlavamo appena qualche giorno fa a proposito del tarlo asiatico, del punteruolo rosso, del cinipede del castagno, della cocciniglia del pino marittimo. Parassiti killer che stanno letteralmente rodendo l’equilibrio delle foreste italiane e che proliferano in assenza di antagonisti naturali. Una potenziale soluzione risiede per l’appunto nella lotta biologica, ovvero l’introduzione, nel caso specifico, di insetti concorrenti. Ci sta lavorando l’Università della Tuscia che prova a liberarsi del punteruolo rosso favorendo l’insediamento del Tomicus. Una via d’uscita decisamente più insolita contro le specie aliene arriva dagli States e trova concordi scienziati, ambientalisti e consumatori: l’estinzione vien mangiando e nel piatto, a rigor di logica, devono finirci necessariamente le specie invasive.
Lungo le coste della California e dei Caraibi a dilagare è il pesce leone, nativo delle scogliere dell’Oceano Pacifico e Indiano, pericoloso non tanto per il veleno che usa per difendersi, quanto piuttosto per il suo proliferare in acque oceaniche particolarmente calde e sappiamo quanto nelle attuali condizioni climatiche il suo habitat ahinoi abbondi. La popolazione non indigena di pesce leone costituisce un problema affatto trascurabile per gli stock di pesci della barriera. Piuttosto che continuare a sfruttare le risorse ittiche a rischio di estinzione e portare in tavola zuppa di pinne di squalo, l’ideale, secondo gli esperti, sarebbe togliere dalla circolazione proprio le specie invasive, raggiungendo un duplice intento: allentare la pressione degli alieni sugli indigeni ed avere del pesce sostenibile da consumare.
Philip Kramer, direttore del Caribbean program for the Nature Conservancy, spiega che, essendo gli esseri umani i predatori più diffusi sulla Terra, potrebbero fare certamente la differenza se, piuttosto che accanirsi con le specie a rischio, decidessero di consumare pesci che stanno provocando danni, offrendo un contributo positivo all’ambiente proprio attraverso l’alimentazione. Nell’edizione 2011 della Smart Seafood Guide realizzata dal Food and Water Watch, per la prima volta, si incoraggiano i consumatori ad optare per specie invasive, un modo per stimolare il mercato ittico ad orientarsi in questa direzione. Spetterà agli chef renderle appetibili.
Non si tratta dell’unica soluzione, ovviamente. Per risolvere il problema occorre ben altro: ricostruzione degli habitat, barriere fisiche, pesci predatori, il ripristino di popolazioni ittiche autoctone. Certo è però che, in alcune aree marine invase dagli alieni, la scelta dell’uomo di friggerseli potrebbe fornire un apporto affatto trascurabile per arginarne la diffusione. A patto, ovviamente, di pescarle in modo sostenibile altrimenti tutti gli sforzi saranno stati vani.
Il filetto del pesce leone in salsa di burro è stato già preparato da Kerry Heffernan, chef al South Gate restaurant di New York. Benché orrendo a vedersi, pare che il sapore non fosse niente male. Il pesce leone, proprio come la cernia, può però veicolare la ciguatossina che provoca vomito e disturbi a livello neurologico, pertanto non dovrebbe essere prelevato dalle acque in cui si è riscontrata la presenza del microbo che produce questa tossina.
[Fonte: Answer for Invasive Species: Put It on a Plate and Eat It, NYT]