Lodevole sforzo del Governo volto a rispolverare e rendere operative la dimenticata tradizione dell’Arbor Day e la prassi della messa a dimora di un albero per ogni neonato ma piantare non basta. Gli alberi vengono visti ancora come entità uniche, soggetti estetici ed ecologici belli quanto benevoli e salubri che, con la loro sola presenza, migliorano la vita nelle città. Questo è assolutamente vero quanto anche riduttivo.
Il DDL della Prestigiacomo dà enorme importanza quantitativa al patrimonio arboreo urbano. Esso impone ai comuni di piantare un albero per ogni nascituro e di censire tutti quelli presenti negli spazi pubblici del territorio comunale e fa obbligo ai sindaci di redigere un bilancio consuntivo degli incrementi del patrimonio arboricolo comunale ottenuti durante il proprio mandato. Queste preoccupazioni di ordine quantitativo sono assolutamente condivisibili per l’ovvia proporzionalità intercorrente tra quantità di alberi e qualità ambientale urbana.
Tuttavia non è del tutto vero che, dopo averli piantati, gli alberi compiranno da soli il miracolo biochimico della depurazione dell’aria, della depurazione dell’acqua, della cattura di carbonio che convertiranno in biomassa legnosa. Questo è vero ma è pur vero che tali meravigliose capacità intrinseche degli alberi devono essere promosse, assecondate, potenziate tramite specifiche pratiche gestionali.
I patrimoni arboricoli che si andranno a costituire assumeranno presto le dimensioni del bosco urbano e come tale dovranno essere trattati secondo le pratiche della selvicoltura urbana, pena la loro deperienza diffusa, la loro senescenza precoce, l’incapacità di rinnovarsi naturalmente e l’inagibilità al pubblico.
La selvicoltura urbana è l’arte, la scienza e la tecnologia della gestione degli alberi e delle risorse forestali entro ed attorno ai centri abitati al fine di fornire benessere sociale, estetico ed economico agli abitanti della città. Helms (1998)
La scienza, affermatasi dagli anni 60 dapprima in America, Canada e Nord Europa mira a conseguire il miglior funzionamento ecologico del bosco in termini di miglioramento della qualità ambientale della città, assicura la perennità e capacità di rinnovazione naturale (autorigenerazione da seme) al bosco urbano e la possibilità di ritrarre, a mezzo dei tagli, prodotti legnosi e quindi un profitto tramite il quale il bosco ripaga da solo le spese per le operazioni di manutenzione.
Per assicurare una lunga vita in termini economici ed ecologici al bosco urbano non basta piantare, si deve anche tagliare! Lo dimostrano i dati sperimentali rilevati da una ricerca condotta dal Dipartimento di Gestione dei Sistemi Agrari e Forestali dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria e dal Dipartimento di Scienze delle Produzioni Vegetali, Università di Bari, Greenlab, nel Parco Nord di Milano, uno dei primi e pochi siti di sperimentazione della selvicoltura urbana in Italia.
Le particelle di bosco sottoposte a diradamenti (tagli selettivi condotti su soprassuoli giovani, volti a diminuire la concorrenza tra le piante e favorire gli individui più promettenti) a maturità risultavano di qualità molto migliore rispetto a quelle piantate e poi lasciate a sé stesse. La migliore qualità delle particelle tagliate è stata riscontrata in termini di: stato fitosanitario, biomassa legnosa maggiore (concentrata nei tronchi di meno individui più grandi) e quindi di maggior efficienza nella cattura di carbonio, minor densità di tronchi compensata da una maggiore espansione delle chiome e quindi migliori caratteristiche paesaggistiche del bosco stesso.
[Fonte: Greenlab]
eebest8 back 23 Giugno 2018 il 1:24 pm
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