E se la Cina, lo abbiamo visto ieri, continua a mantenere il suo triste primato di Paese più inquinante al mondo, pare che paghi (pagherà) anche il prezzo più alto a causa del cambiamento climatico.
A dirlo è una ricerca compiuta dalla stessa Università di Pechino che lancia l’allarme, in questi giorni, sul rischio di una carestia nel Paese orientale dovuta proprio agli effetti del riscaldamento globale.
L’agricoltura è infatti il settore più penalizzato dalle temperature alte per via di siccità, aumento dei parassiti e di malattie delle piante favorite da climi caldi, e forti piogge, e l’équipe di ricercatori si spinge molto, forse troppo, in avanti con le previsioni, ipotizzando, per il 2050, uno scenario a dir poco disastroso, con una riduzione, in alcune aree, del 20% della produzione agricola. Si parla di perdite della resa fino al 22% per il grano, del 18% per il riso e fino al 30% per il mais.
Sembra impossibile oggi che in ogni supermercato italiano ci imbattiamo nei cloni cinesi di prodotti che sono il fiore all’occhiello dell’agricoltura italiana: ultimi, in ordine di arrivo sul mercato, i pomodori sottocosto provenienti dall’Oriente. Eppure, la Cina, che soddisfa la richiesta di prodotti agricoli del 22% della popolazione mondiale, malgrado abbia a disposizione appena il 7% dei terreni coltivabili, potrebbe in un lontano futuro non riuscire a soddisfare la crescente domanda e trovarsi addirittura a fronteggiare una carestia.
Il condizionale è d’obbligo, visto che si parla di cambiamenti climatici, ma gli esperti presentano a supporto i dati relativi agli ultimi 40 anni, con un incremento della temperatura pari a 0,36 gradi ogni dieci anni a decorrere dal 1960 nella parte Nord del Paese, sempre più calda e secca, mentre al Sud, meno interessato dal riscaldamento globale perché meno saturo di gas serra, si è registrato un aumento degli eventi atmosferici violenti ed una diminuzione delle piogge moderate ma costanti.
[Fonte: Ansa Ambiente&Energia]