Scioglimento del permafrost, l’ultima bomba per il riscaldamento climatico rischia di scoppiare

permafrost

Il terreno del Nord Slope dell’Alaska non è calpestabile, e così Andrew Jacobson ha ancora difficoltà ad effettuare escursioni lungo la tundra spugnosa, che è piena di rocce e maschera le moltitudini di zanzare. Jacobson, un professore di scienze della terra e planetarie della Northwestern University, ha estratto campioni del suolo e delle acque in cerca di indizi di uno dei più grandi rischi per il riscaldamento globale: lo scioglimento del permafrost.

Il permafrost, o terreno congelato, copre circa il 20-25% della superficie terrestre nell’emisfero settentrionale, ed è stimato che contenga fino a 1600 gigatonnellate di carbonio, principalmente sotto forma di materia organica (un gigatone è equivalente ad un miliardo di tonnellate). In confronto, l’atmosfera contiene oggi circa 825 gigatonnellate di biossido di carbonio, circa la metà.

Spiega Jacobson che:

Il permafrost storicamente è servito come deposito di carbonio, isolando grandi quantità di carbonio durante il suo normale ciclo. Tuttavia, il riscaldamento globale potrebbe trasformare l’Artico in una nuova fonte di carbonio attraverso l’accelerazione del tasso di scioglimento del permafrost. Questo senza dubbio avrebbe un effetto drammatico sul ciclo globale del carbonio.

Jacobson esprime la sua preoccupazione principale, e cioè che il carbonio nel permafrost si ossidi e acceleri la fusione, causando un aumento improvviso del riscaldamento globale. Un circolo vizioso che creerebbe un clima più caldo che facilita il rilascio di più di carbonio, che a sua volta favorisce un meggiore riscaldamento.

Così Jacobson e i suoi colleghi raccolgono l’acqua dei fiumi e i  campioni di terreno in prossimità della NSF Toolik Long-Term Ecological Research station, circa 250 km a nord del Circolo Polare Artico. Mentre il primo passo per la modellazione di riscaldamento globale è la quantificazione del flusso di carbonio, irrisolte complessità che circondano il ciclo del carbonio dell’Artico rendono difficile la creazione di modelli validi.

Jacobson e il suo team hanno tentato un approccio analizzando i naturali elementi isotopi, come il calcio e lo stronzio, che traccia la fusione del permafrost e quindi fornire una conoscenza del rilascio di carbonio. I primi dati mostrano che i fiumi ed il permafrost hanno composizioni nettamente diverse degli isotopi di calcio e stronzio. Quando il permafrost disgela durante l’estate e si scioglie nei fiumi, questi mostrano composizioni di isotopi simili a quelli del permafrost. Jacobson ipotizza che, in un mondo più caldo, la “firma” del permafrost nei fiumi sarà più pronunciata per periodi più lunghi di tempo.

I cambiamenti nella composizione isotopica dei fiumi possono riferirsi ai cambiamenti del rilascio di ossido di carbonio. Così la composizione isotopica di calcio e stronzio nei fiumi dell’Artico sono in grado di monitorare l’impatto del riscaldamento del pianeta sul permafrost, sulla stabilità e sulla liberazione di biossido di carbonio.

L’obiettivo finale è quello di stabilire una base per le future modifiche che possono essere confrontate.Tra qualche anno si potranno confrontare le modifiche al modello reale e le previsioni per migliorare la nostra comprensione di come funziona il sistema.

ha concluso Jacobson.

Fonte: [Livescience]

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