A pochi giorni dalla pubblicazione dell’Indice sviluppo umano e dai risultati del rapporto sulla sostenibilità, resi noti da Helen Clark, arrivano novità dall’Oriente: Cina, Paesi Arabi e Nord Africa si dicono pronti ad investire nelle rinnovabili per fermare i cambiamenti climatici e per rilanciare l’economia in tempo di crisi mondiale. L’Italia e l’Europa sembrano rimanere lontane da questi obiettivi, all’indomani delle dichiarazioni del direttore generale della Climate Action dell’Unione che è pronta a rinunciare agli obiettivi di Kyoto se altri Paesi non si dichiarano favorevoli a sottoscrivere gli accordi per ridurre le emissioni.
Le novità tecnologiche e i progetti di sviluppo per le energie pulite saranno oggetto del prossimo Congresso dei Paesi Arabi per le energie rinnovabili che si terrà ad Amman, in Giordania, dal 29 al 30 novembre. Il congresso, patrocinato dal Principe hascemita Asem bin Nayef, vedrà riunite le potenze del Nord Africa e dei Paesi del Golfo e quanti interessati ad investire nella Green economy di questi Stati. Tra le aziende italiane parteciperà al Congresso solamente la Solar Ventures. Diverso il caso della Cina che punta da sola verso le rinnovabili. Significativa è la testimonianza rilasciata al Corriere della Sera dal professore e ricercatore italiano del CNR Valerio Rossi Albertini, chiamato ad intervenire nel Summit sulla nuova economia in Cina, “Leading the green economy: returning to harmony with nature”.
Con l’intraprendenza che li contraddistingue, i cinesi si stanno attrezzando per guidare la rivoluzione imminente. Prendiamo l’eolico: solo per il 2012 investiranno 47,9 miliardi di dollari e molte delle pale eoliche in giro per il mondo sono di fabbricazione cinese.
Eppure, a monte degli investimenti e della ricerca sulle rinnovabili, i cinesi non sono d’accordo a sottoscrivere il Protocollo di Kyoto e ad impegnarsi a ridurre le emissioni entro il 2020. Tra grandi contraddizioni e reale consapevolezza ambientale, ricorda lo studioso Rossi Albertini che l’Italia ha sempre precorso i tempi e proprio in questo momento non bisogna mettere da parte la ricerca ma creare una politica per le energie
Serve una struttura organizzativa, una cabina di regia che faccia da raccordo tra istituzioni, organismi confederali, società civile per una strategia unitaria. Manca una figura ad hoc, penso a un ministro per l’energia. Negli Stati Uniti è il premio Nobel Steven Chu, con ampie deleghe affidategli dal presidente Obama.
[Fonti: Adnkronos; Il Corriere della Sera]
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