Il mondo che tutti sogniamo è un mondo alimentato da energia pulita, dove l’inquinamento verrà ridotto davvero al minimo indispensabile e dove non ci sarà petrolio o carbone, ma solo vento, sole e le altre forme rinnovabili di energia. Un’utopia? Forse no, secondo un nuovo studio effettuato dal ricercatore di Stanford Mark Z. Jacobson, che intravede concretamente un mondo in cui le fonti energetiche rinnovabili sostituiranno definitivamente i combustibili fossili.
Sulla base dei nostri risultati, non ci sono ostacoli tecnologici o economici per convertire il mondo intero alle fonti energetiche rinnovabili. La domanda è sapere se abbiamo la società e la volontà politica [per farlo]
spiega Jacobson, che insegna ingegneria civile e ambientale alla Stanford University.
Lui e Mark Delucchi, della University of California-Davis, hanno stilato una relazione in due parti sulla politica energetica in cui valutano i requisiti dei costi, la tecnologia e i materiali per la conversione del pianeta all’energia pulita. Il mondo che immaginano prevederebbe l’utilizzo del vento, l’acqua e l’energia solare per generare elettricità, con l’energia eolica e solare che da sole garantirebbero il 90% dell’energia necessaria. Le fonti geotermiche e idroelettriche raggiungerebbero circa il 4% ciascuna (l’idroelettrico già oggi ha raggiunto questo obiettivo al 70%), mentre il restante 2% deriverebbe da onde e maree.
Automobili, navi e treni sarebbero alimentati da celle a combustibile a idrogeno e dall’elettricità, gli aerei da idrogeno liquido; le case potrebbero essere raffreddate e riscaldate con stufe elettriche, non più a gas naturale o carbone, e l’acqua verrebbe preriscaldata dal sole.
Secondo i loro calcoli, se oggi il mondo cominciasse ad impegnarsi per raggiungere questo obiettivo, entro il 2030 potrebbe essere già raggiunto, mentre le nuove generazioni di energia rinnovabile potrebbero convertire quelle vecchie entro il 2050, rendendole una volta per tutte stabili.
Abbiamo voluto quantificare quanto è necessario al fine di sostituire tutte le attuali infrastrutture energetiche con una infrastruttura energetica davvero pulita e sostenibile entro 20 o 40 anni
ha detto Jacobson. Uno dei vantaggi del piano è che si traduce in una riduzione del 30% della domanda mondiale di energia dal momento che prevede la conversione dei processi di combustione in processi di carburazione elettrica o a idrogeno. L’elettricità è molto più efficiente della combustione, e da qui deriverebbe la riduzione del fabbisogno. Inutile fare calcoli sulla riduzione dell’inquinamento atmosferico e delle spese mediche in seguito all’eliminazione dei combustibili fossili, sarebbe davvero impossibile quantificarne gli immensi benefici.
Ma cosa ci frena dal raggiungere quest’obiettivo? Uno dei principali ostacoli è che l’energia eolica e solare sono molto instabili. Secondo Jacobson però la variabilità può essere superata colmando le lacune lasciate da una giornata nuvolosa o senza vento con l’apporto di altre fonti come l’acqua o la geotermia.
Con un sistema che sia al 100% eolico, idroelettrico e solare, non è possibile utilizzare normali metodi di incontro tra domanda e offerta. Bisogna avere quella che viene chiamata “super rete”, con trasmissione a lunga distanza ed una gestione veramente ottimale.
L’utilizzo della variabilità dei prezzi al fine di controllare le richieste di picco, uno strumento che viene usato già oggi, potrebbe dare un grosso aiuto a regolare il flusso energetico per farlo concentrare nelle ore in cui c’è maggiore disponibilità.
Per quanto riguarda il materiale necessario a costruire tutte le turbine, collettori solari e altri dispositivi, i ricercatori hanno scoperto che le materie prime come il platino e altri metalli sono disponibili in quantità sufficienti, ed il riciclaggio potrebbe ampliarne ulteriormente l’offerta.
Altro punto a favore della loro previsione è che, se le centrali ad energia rinnovabile fornissero il 100% dell’energia elettrica, l’impronta necessaria sarà di circa lo 0,4% della superficie terrestre (per lo più per il solare) a cui si aggiunge la spaziatura tra le installazioni per un altro 0,6% (per lo più per le turbine eoliche). Ma la maggior parte dei terreni tra le turbine eoliche non andrebbe perso, perché riutilizzato per il pascolo o l’agricoltura, in modo da non far “pesare” l’occupazione di territorio. Molti parchi eolici potrebbero essere off-shore, in modo da non occupare il territorio delle città costiere, e dunque della loro presenza non si accorgerebbe nessuno.
Non mancano nemmeno le tecnologie, visto che quelle necessarie sono presenti già oggi che le rinnovabili non raggiungono nemmeno il 10% dell’energia totale. Dunque cosa manca? Secondo Jacobson e Delucchi, solo la volontà politica.
[Fonte: Stanford University]
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