Il Germanwatch, uno degli organismi internazionali che si occupano di misurare i provvedimenti politici internazionali, in collaborazione con Can Europe e Legambiente, ha osservato le politiche dei Paesi mondiali in relazione all’ambiente.
Il risultato, chissà perché, non ci sorprende: l’Italia è tra i Paesi che inquina di più ma fa di meno a livello politico per diminuire il proprio impatto ambientale. L’organizzazione ha preso in considerazione i 60 Paesi che nel mondo sono responsabili del 90% delle emissioni di anidride carbonica, ed ha posizionato l’Italia al 41° posto. La classifica è composta da tre indici: emissioni provocate, trend d’inquinamento e politiche climatiche.
Il quarantunesimo posto dell’Italia è migliorato rispetto allo scorso anno di 3 posizioni non perché siano stati presi provvedimenti, ma soltanto perché, a causa della crisi, sono state chiuse delle fabbriche, e molte di quelle che sono rimaste aperte hanno ridotto la produzione, riducendo di conseguenza le emissioni. In quanto a politiche ambientali infatti l’Italia è cinquantottesima, in pratica fa meglio solo di Arabia Saudita e Ucraina, e peggio, molto peggio, di nazioni che sembra incredibile possano impegnarsi più del nostro Paese come Cipro, Lituania, Algeria, Singapore, e perfino il tanto vituperato Iran.
Insomma, risultati di cui non andare fieri, visto che, una volta passata la crisi, sembra proprio che le emissioni ritorneranno a correre, e la nostra politica continuerà a guardare. Per renderci conto della situazione, basta vedere che le due nazioni più inquinanti al mondo, Cina e Stati Uniti, hanno investito in politiche ambientali rispettivamente 230 e 80 miliardi di dollari. L’Italia non può di certo disporre di certe cifre, ma si capisce che in ogni caso ha investito davvero poco quando si guardano i dati europei. Nella Ue a 27 sono stati investiti appena 30 miliardi di dollari, e quasi la metà di questi solo dalla Germania. Considerando che il resto proviene dai Paesi scandinavi, dai Paesi Bassi (ad esclusione del Lussemburgo), da Francia, Spagna e Regno Unito, si capisce come la quantità di investimenti italiani sia ridotta davvero all’osso.
[Fonte: Corriere della Sera]
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