COP10, il summit internazionale sulla biodiversità che ha visto la partecipazione dei delegati di 193 Paesi, riunitisi a Nagoya, in Giappone, si è concluso il 29 ottobre scorso. I lavori, iniziati il 18 ottobre, hanno portato alla stesura di programmi condivisi a livello internazionale volti a tutelare la diversità biologica, nel rispetto degli obiettivi prefissati dagli Stati membri della Convenzione (CBD), siglata ormai diciassette anni fa.
Tre i punti cardine sui quali è stata impostata la ripresa del dialogo sulla biodiversità della Conferenza delle Parti:
- la conservazione della biodiversità;
- l’uso sostenibile delle risorse;
- la divisione equa dei benefici derivanti dalle risorse genetiche.
L’intesa sulla ripartizione equa dei benefici derivanti dalle risorse genetiche è stata siglata dall’adozione di un protocollo comune che fissa delle norme condivise volte a regolare, tra i diversi aspetti, l’utilizzo di piante da parte di grandi aziende per lo sviluppo di farmaci, cosmetici e di altri prodotti.
I colloqui, protrattisi per 12 giorni, si erano arenati in una fase di stallo con la fumata nera di giovedì scorso. L’ultimo giorno utile, Ryu Matsumoto, presidente della riunione nonché ministro dell’ambiente giapponese, ha presentato la sua proposta per cercare di sbloccare il risultato, in bilico per via di una clausola sui profitti derivanti dalla commercializzazione delle risorse, da attivarsi non solo sul business futuro ma anche retroattivamente, fortemente voluta dai Paesi in via di sviluppo ma poi esclusa dalla bozza finale.
Il dibattito si è acceso anche intorno alle aree marine protette, con le richieste dell’Unione Europea inizialmente fissate al 20% delle zone costiere e marine entro il 2020, e successivamente ribassate al 15%. La Cina insisteva invece per un ben più misero 6%. Il compromesso è stato raggiunto fissando gli obiettivi al 10%.
Un magro risultato per Greenpeace che ne chiedeva il 40% come obiettivo a lungo termine al fine di garantire una pesca sostenibile ed assicurare pesce anche alle generazioni future.
Ciononostante, l’adozione stessa di un documento comune sulla biodiversità marina e costiera, è di per sé un successo, per l’associazione ambientalista.
Tra gli obiettivi, è importante sottolineare che le Parti:
- hanno accettato di dimezzare almeno e, ove possibile portare vicino allo zero, il tasso di perdita di habitat naturali, comprese le foreste;
- hanno stabilito un obiettivo del 17 per cento per la protezione delle aree terrestri e d’acqua interne e del 10 per cento delle aree marine e costiere;
- hanno preso l’impegno che ogni Governo si impegni a ripristinare e provveda alla conservazione di almeno il 15% delle aree degradate;
- hanno accettato di compiere ulteriori sforzi per ridurre la perdita di barriera corallina.
Le Parti si impegnano inoltre a lavorare sin da ora per definire in tempo per la riunione della undicesima Conferenza del 2012, gli obiettivi ed i meccanismi attraverso i quali reperire, stanziare ed incanalare in progetti di tutela della biodiversità le risorse finanziarie necessarie al rispetto del protocollo.
E sull’intesa raggiunta a Nagoya non si è fatto attendere il plauso del WWF International che ha espresso soddisfazione per il nuovo piano internazionale sulla biodiversità, un accordo che, nelle parole del direttore generale del World Wide Fund for Nature, Jim Leape
riafferma la necessità fondamentale di preservare la natura come il fondamento stesso della nostra economia e della nostra società.
I governi hanno mandato un forte messaggio: la tutela della salute del pianeta ha un posto di rilievo nella politica internazionale ed i Paesi sono pronti ad unire le forze per salvare la vita sulla Terra.
Il protocollo di Nagoya è un risultato storico, dal momento che assicura una condivisione più equa del valore immenso rappresentato dalla risorse genetiche.
[Fonti: Earthtimes; CBD]
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