Era un po’ che non si sentiva più parlare del “picco di petrolio“, quel fenomeno, presunto o reale, che vuole un momento in cui si registra una produzione massima di petrolio a livello mondiale, seguita da un periodo di calo costante di estrazione, fino al totale esaurimento. Questo forse perché i cosiddetti “catastrofisti” si sono concentrati maggiormente sull’esaurimento di un altro combustibile fossile più attuale, l’uranio per l’energia nucleare, e per questo hanno tralasciato l’oro nero. Ma quando a parlare non è l’amico della Terra di turno, ma la IEA (Agenzia Internazionale dell’Energia), qualcosa cambia.
Fino a poco tempo fa l’Agenzia non aveva mai riconosciuto pubblicamente il picco del petrolio, e ancora oggi usa raramente tale termine, ma nell’ultimo anno l’argomento è stato riconosciuto come “molto reale”. In un recente rapporto intitolato World Energy Outlook si legge un grafico (che troverete dopo il salto) che mostra come i giacimenti di petrolio hanno superato il picco circa quattro anni fa, comprese le stime più probabili per il futuro.
Nel 2009 molti scienziati e ambientalisti avevano accusato la IEA di aver volutamente gonfiato i dati sul petrolio per evitare il panico finanziario e placare i mercati. In ogni caso, se si guarda il grafico qui sopra, tutti i giacimenti petroliferi attualmente in produzione hanno raggiunto il picco nel 2006 e potrebbero crollare a meno di 20 milioni di barili al giorno entro il 2035. In pratica basteranno a soddisfare soltanto il fabbisogno degli Stati Uniti. Da quel momento in poi solo il gas e le fonti di petrolio non convenzionali (che sono altamente inquinanti come le sabbie e gli scisti bituminosi), aumenteranno la domanda di circa 10 milioni di barili al giorno, a cui si aggiungono i giacimenti di petrolio greggio ancora da sfruttare (sappiamo che sono lì, ma sono difficili da raggiungere) ed i giacimenti ancora da trovare, che potrebbero teoricamente prolungare la vita utile del petrolio ancora per qualche altro anno.
Chiamatela speranza, chiamatela catastrofismo, ma secondo questo grafico ufficiale dell’agenzia che meno di tutte vuole creare il panico intorno al petrolio, entro il 2035 circa un quarto dei combustibili fossili sarà ancora disponibile, mentre il 75% è affidato ad una chimera. Se poi si considera che per raggiungere i giacimenti più difficili (vedi il Golfo del Messico), più pericolosi (come quelli intorno alle coste italiane) o quelli ancora non scoperti, ci vorranno degli investimenti stratosferici, la domanda sorge spontanea: perché non investire nelle rinnovabili?
Abbiamo 25 anni di tempo. Se perdessimo altre risorse dietro ad una speranza di trovare altro oro nero, correremmo il rischio di ritrovarci al 2035 con l’economia globale in ginocchio a combattere per quelle poche gocce che ancora si riusciranno a tirar via dal sottosuolo.
[Fonte: Treehugger]
Sandro kensan 17 Novembre 2010 il 2:37 pm
Per le rinnovabili non c’è più tempo, il tempo era ieri oggi c’è il declino del petrolio con un meno 10% tra 5 anni del petrolio che verrà usato a livello mondiale mentre la domanda aumenterà, quindi i prezzi saliranno e non ci saranno più risorse per le rinnovabili che sono costose.
Poi la storia recente insegna che non c’è aumento della domanda ma destrutturazione della società con aumento dei poveri e quindi meno richiesta di petrolio. Comunque la sostanza è la stessa: meno petrolio tra 5 anni secondo il grafico che avete mostrato e che proviene dall’IEA.
Paola Pagliaro 19 Novembre 2010 il 12:36 am
dunque nessuna soluzione, non c’è scampo alla crisi energetica?