Ieri sera, dopo una battaglia politica durata ore, il senato ha ratificato il ritorno al nucleare per l’Italia. In barba al referendum del 1987 in cui gli italiani dissero no al nucleare, con una semplice votazione si è data l’opportunità al Governo di cominciare, entro 6 mesi, l’iter che riporterà l’Italia indietro di 20 anni, permettendo la costruzione delle centrali nucleari.
I problemi sono tanti. A prescindere dalla volontà del popolo, che sicuramente se fosse chiamato a rispondere ad un referendum confermerebbe il no dell’87, le questioni da risolvere sono troppe. Prima di tutto, il luogo in cui costruire le centrali. Saranno coperti da segreto militare i siti in cui esse saranno costruite, e questo gesto già fa capire che si temono contestazioni delle popolazioni che abitano vicino al sito scelto, e per questo si ricorrerà alla mano dura.
Per scegliere i quattro siti in cui costruire le centrali, si è deciso di adottare una mappa prodotta dalla Cnen (oggi diventata Enea), disegnata negli anni ’70. Lì erano indicate le zone adatte al fabbisogno di una centrale, come la presenza di acqua e la stabilità del terreno. Il problema è che oggi, dopo 30 anni, questa mappa è obsoleta, alcuni fiumi segnati sono a secco o non hanno più il corso di una volta, alcune zone sono franate o ci sono stati smottamenti che non rendono più sicuro il terreno. Insomma, va rifatto tutto il lavoro tutto d’accapo.
In ogni modo, stando a quanto segnato sulla mappa, le centrali dovrebbero sorgere in Sardegna, una nella zona di S. Margherita di Pula e un’altra fra S. Lucia e Capo Comino; una in Puglia, ad Ostuni; e l’altra lungo il Po tra la zona di Vercelli e quella di Mantova, vicino alle ex centrali di Trino e Caorso. La scelta è dovuta a diversi fattori. Il più importante era la presenza di acqua. Bisognava cercare una zona vicina ad un fiume (le centrali nucleari hanno bisogno di quantità enormi di acqua per funzionare), ma che non abbia rischio di inondazioni, nè di siccità. E quindi si spiega la scelta del Po.
Le scelte della Puglia e della Sardegna invece sono state prese per un problema sismico. Queste due sono le uniche due zone in tutta Italia a non essere zone sismiche. Le tecniche antisismiche per costruire le centrali esistono, ma non sono ancora del tutto sicure. La centrale attualmente in attività più grande del mondo, quella di Kashiwazi-Kariwa, vicino Tokyo, nonostante fosse stata progettata con le migliori tecniche antisismiche, di cui i giapponesi sono maestri, davanti all’ultima scossa ha subito talmente tante lesioni che è stata chiusa ed ora è ferma da due anni.
Ma il problema principale è l’efficienza. Si prevede che le centrali saranno concluse entro il 2018, ma conoscendo tutti i problemi che ci vogliono per la messa in sicurezza di una centrale nucleare (in Finlandia sono fermi da tre anni e non si vede ancora la fine dei lavori), e la lentezza italiana, si prevede che i lavori non finiranno entro il 2025 circa. Per quella data, oltre alla scarsità dell’uranio che ormai sarà evidente, il fabbisogno di energia elettrica dell’Italia sarà aumentato rispetto ad oggi. E così le 4 centrali che se costruite oggi fornirebbero il 25% dell’energia italiana, nel 2025 non arriveranno nemmeno al 9%. A questo punto la domanda che sorge spontaea è: ne vale la pena?
tommi 18 Maggio 2009 il 5:52 pm
io non le voglio!
e se iniziano a costruirle io mi metto li davanti legato a un albero!
a mali estremi estremi rimedi no?