La Bulgaria voleva diventare uno dei Paesi più nuclearizzati d’Europa, ma per adesso i suoi cittadini hanno frenato questa folle corsa. Nell’ultimo week-end il popolo è stato chiamato alle urne dalle forze di opposizione al Governo che non vuole investire sul nucleare, per decidere se costruire o meno il secondo impianto del Paese. O sarebbe meglio dire “ri”-costruire, dato che si tratta di un impianto che era stato iniziato negli anni ’80 ma poi abbandonato. Per fortuna il numero dei votanti non si è nemmeno avvicinato al quorum.
Ma capiamo meglio la vicenda. In Bulgaria, uno dei Paesi più poveri d’Europa, esiste già una centrale nucleare. È quella di Kozlodoui, una cittadina sul Danubio dove l’impianto dà lavoro a gran parte della popolazione. Proprio perché in quella cittadina crea ricchezza, e visto che il costo del gas importato dalla Russia si sta elevando sempre di più, la coalizione socialista ha chiesto che venga costruita la seconda centrale nella città di Belene.
L’impianto però non ha trovato d’accordo né i cittadini e né l’attuale partito al Governo, anche se i motivi non sono legati a tematiche ambientali. Il motivo per cui ci si oppone alla seconda centrale è il costo, ritenuto eccessivo. All’inizio del progetto era stato stimato un prezzo di 2 miliardi di euro; ora con tutte le rilevazioni e quasi alla posa della prima pietra si è arrivati già a 10. E siccome c’è il rischio che il costo possa salire ancora, il Governo ha bloccato tutto ed indetto il referendum. Il quorum era fissato al 60% ma alle urne si è arrivati a malapena al 20%, ed inoltre questo esiguo numero di cittadini che si è presentato alle urne non era nemmeno tutto per il sì, ma alla fine solo il 60% si è detto favorevole alla costruzione. Anche se il motivo che ha spinto i bulgari verso questa scelta non è ambientale ma economico, l’importante è che per adesso, e chissà ancora per quanto, in quel Paese rimane soltanto una centrale.
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