Credo proprio che non ci libereremo mai del nucleare. Dopo il disastro di Fukushima la maggior parte dei Paesi industrializzati ha deciso di uscire dal programma nucleare o almeno di rifletterci su. Purtroppo nelle economie emergenti non si è verificata la stessa sensibilità ed anzi, adesso si punta ancora di più su questa forma energetica che è diventata a buon mercato. Purtroppo per loro forse anche troppo.
Per renderci conto delle cifre di cui stiamo parlando basti dire che un pellet di combustibile nucleare grande quanto un dito produce la stessa quantità di energia di 800 kg di carbone o 650 litri di petrolio. Il tutto senza le emissioni nell’atmosfera dei gas serra. Detta così sembra evidente che l’energia atomica sia molto più conveniente. A tutto ciò si aggiunge che il prezzo dell’uranio è precipitato. Dai 136 dollari alla libbra nel 2007 si è scesi a soli 44 dollari la scorsa settimana, grazie soprattutto al fatto che Germania, Svizzera, Belgio e Giappone hanno cominciato a non acquistarne più. A tutto questo si aggiunge il fatto che Stati Uniti e Russia hanno firmato un trattato per ridurre le armi nucleari. Solo nell’ex Unione Sovietica infatti veniva utilizzato il 16% dell’uranio di tutto il mondo.
Sarebbe bellissimo se si decidesse di non utilizzarlo più. Purtroppo in Cina e in India non è così. La Cina ad esempio ha annunciato un piano da 170 miliardi di dollari per la costruzione di nuovi impianti. Secondo i calcoli quando tutte le centrali saranno entrate in funzione riusciranno a fornire una quantità di energia tale da soddisfare i consumi di un Paese come la Spagna, eppure in quel Paese la copertura aumenterà dall’attuale 2% scarso al 5%. 45 delle 65 centrali in costruzione in tutto il mondo si trovano nei cosiddetti Paesi Bric (Brasile, Russia, India e Cina) e solo in India rappresenterà un’importante fonte energetica, potendo raggiungere fino al 50% del fabbisogno nazionale.
Eppure qualche speranza per l’addio c’è. Un segnale arriva dall’Australia, il principale estrattore di uranio al mondo, che recentemente ha accantonato il progetto di creare la più grande miniera di uranio a cielo aperto del mondo perché non conviene più visto che il prezzo sul mercato è troppo basso. Lo stesso è accaduto per esempio in Canada, il terzo produttore di uranio, ed anche in Kazakistan ed in altri Paesi. I produttori stimano che se il prezzo dell’uranio non sale ad almeno 67 dollari la libbra, la produzione potrebbe precipitare di un quarto entro il 2020. Noi ci aguguriamo che per quella data di decida per la morte del nucleare.
[Fonte: The Guardian]
Photo Credits | Getty Images
Commenti (1)