Come annunciato un paio di mesi fa, il Giappone vivrà alcune settimane senza nemmeno un watt prodotto da una centrale nucleare. Questo momento storico avrà il suo avvio nel prossimo weekend quando anche l’ultima centrale verrà spenta. Purtroppo però questo periodo senza nucleare non durerà molto.
Per chi si fosse perso le “puntate precedenti“, il Giappone ha avviato una serie di controlli del rischio per quanto riguarda le centrali nucleari in seguito al terremoto/tsunami del marzo 2011 quando la centrale di Fukushima Daiichi rischiò di esplodere, ma comunque rese inabitabile un’area intorno ad essa grande 300 km. Da allora, una per una, le centrali furono spente per sottoporle ai test, ma il programma che prevedeva lo spegnimento di una e la riaccensione dell’altra non fu mai rispettato. Ogni volta che una centrale si spegneva, nessuna veniva riattivata, fino ad arrivare al prossimo weekend quando anche l’ultima delle 54 centrali giapponesi verrà spenta.
Per la precisione si tratta di quella dell’isola di Hokkaido che si spegnerà sabato 5 maggio. Il problema è che il Giappone ricavava circa un terzo della propria energia dal nucleare, ed ora il costo della bolletta per i giapponesi è salito vertiginosamente perché il Paese è costretto ad importarla dall’estero. Ed infatti la scorsa settimana il Primo Ministro Yoshihiko Noda ha dichiarato al The Washington Post che l’importazione dell’energia è un costo paralizzante per l’industria.
Le conseguenze ci potrebbero essere anche dal punto di vista ambientale visto che, come è stato dimostrato lunedì scorso al forum di Davos, in Svizzera, il danno per il Paese è talmente elevato che se presto non verranno riaccese le centrali nucleari si tornerà a costruire quelle a combustibili fossili, aumentando notevolmente la quantità di gas inquinanti emessi. Per questo negli ultimi giorni il partito al Governo ha avviato le pratiche per riaccendere la centrale Ikata della Prefettura di Ehime, anche se non si sa ancora quando potrà effettivamente riprendere a produrre energia.
[Fonte: The New Scientist]
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