Ormai siamo alla resa dei conti. Se al primo incidente nella centrale di Fukushima i cittadini dei Paesi che hanno centrali nucleari in casa propria sono scesi in piazza per dire basta all’atomo, dopo la seconda esplosione sono i politici a fare un passo avanti, prendendo provvedimenti seri. Ed ora che in Giappone si rischia una nuova Chernobyl, le politiche energetiche dovranno essere rivoluzionate sul serio.
Ma cominciamo dalla situazione giapponese, com’è doveroso che sia. Dopo il reattore numero uno, anche il numero 3 ha ceduto ieri. Una nuvola di fumo bianco, come quella “ammirata” pochi giorni fa, contenente iodio 131 e cesio 137, si è sprigionata nell’aria, portando a 30 km il raggio di evacuazione delle case. Ma durante la notte italiana il Premier Naoto Kan, colui che aveva negato qualsiasi incidente radioattivo, ha ammesso che anche il reattore numero 2 ha ceduto, e la fuga radioattiva “non è da escludere”.
Ora la situazione si fa molto seria. In primis il vento, che finora ha salvato il Giappone spirando verso l’oceano e allontanando la nube tossica. Ora sta cambiando, e già oggi spira verso Sud, la parte meno popolata del Paese, ma comunque verso esseri umani che stanno cercando di scappare a distanza di sicurezza. Ma la preoccupazione maggiore arriverà domani, quando si prevede che il vento girerà verso Ovest, praticamente verso la parte interna del Paese, quella dove le persone si sono rifugiate, portando con sé nuvole che lasceranno cadere la tanto temuta pioggia radioattiva, quella che porta con sé la distruzione dei campi e malattie per gli esseri umani.
Il sistema che stava raffreddando il secondo reattore di Fukushima stava reggendo, ma era improvvisato visto che si stava utilizzando l’acqua di mare, dato che il capannone con l’impianto di sicurezza era stato spazzato via dallo tsunami. E quindi adesso la barra ha ripreso a riscaldarsi, e non è esclusa una nuova esplosione, stavolta non solo di idrogeno, ma di materiali altamente radioattivi.
Di fronte a questa situazione, e ai 50 mila tedeschi scesi in piazza per protestare (il 70% della popolazione è convinta che anche in Germania può accadere un incidente simile), la Cancelliera Angela Merkel ha annunciato che le 7 centrali più vecchie, quelle che per intenderci lei aveva “salvato” dalla chiusura appena due anni fa, chiuderanno. La stessa decisione è arrivata dalla Svizzera, che ha centrali in misura minore e molto meno vecchie di quelle della Germania, ma al grido di “la sicurezza prima di tutto”, ha sospeso il programma di rinnovamento delle centrali, bloccando i progetti di ristrutturazione e praticamente stabilendo la chiusura di quelle attualmente in funzione, una volta raggiunta l’età dell’obsolescenza.
In questo quadro, l’unica voce fuori dal coro è come sempre quella italiana, con il Ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo che ieri ha specificato che i tedeschi e gli svizzeri hanno preso questa decisione perché hanno centrali vecchie ed insicure, mentre quelle italiane saranno più nuove e sicure. Ma come dimostrano le immagini e i commenti di questi giorni, non esiste il nucleare sicuro, ma questo il ministro non lo sa.
Abbiamo soltanto due modi di “salvarci” dall’atomo, visto che sperare nella clemenza della nostra classe politica è sperare troppo. Uno è il referendum che si terrà a giugno (come stabilito fino ad oggi, a meno di cambiamenti che potrebbero avvenire entro qualche giorno); l’altra àncora di salvezza potrebbe arrivarci dall’Unione Europea. Ieri il commissario all’Energia Guenther Oettinger ha annunciato una serie di incontri che si terranno in futuro tra i vari rappresentanti europei per decidere su una politica energetica che non preveda più le centrali nucleari. L’idea è ancora in fase embrionale, ma si sta pensando di fare in modo che, tra 20 o 30 anni, nella Ue non ci sia più nemmeno una centrale nucleare funzionante. Esattamente quando, nei piani del Governo, dovrebbero essere inaugurate le prime centrali italiane.
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