Ancora sulla morìa di animali che ha coinvolto più aree del mondo tra la fine del 2010 e l’inizio del nuovo anno, interessando anche l’Italia. A Modena sono state ritrovate, in poco meno di tre giorni, 30 carcasse di tortore. E dopo l’episodio, ben più massiccio, delle 800 tortore, registrato a Faenza, l’associazione delle vittime della caccia chiede risposte e provvedimenti alle autorità competenti.
L’appello dell’associazione è rivolto sia al Ministero della Salute che al Ministero dell’Ambiente ed al Ministero dell’Agricoltura e Foreste. In sostanza, si chiede, per motivi precauzionali di fermare la stagione venatoria, dal momento che non si è ancora fatta luce sul misterioso fenomeno, e di accertare che questi decessi non siano relazionabili al virus aviario di tipo A sottotipo H5N1.
Un dubbio simile, anche se fosse minimo, basterebbe, per l’associazione, a giustificare misure preventive così drastiche, dal momento che
non sono tanto il passaggio e la sosta di uccelli infetti a costituire potenziale rischio di contagio quanto invece che gli uccelli ammalati vengano abbattuti e manipolati, talvolta dispersi nell’ambiente.
In una nota l’associazione ricorda infatti che
Il contatto stretto della popolazione umana con animali infetti rappresenta un grave fattore di rischio per la salute pubblica.
I cacciatori, in tal caso, sono a rischio, anche basandosi su quanto afferma in proposito l’OMS.
I dubbi dell’associazione sono più che legittimi:
Poiché è innegabile che i cacciatori entrino in contatto con uccelli selvatici potenzialmente infetti. Cosa rischiano raccogliendoli appena abbattuti, toccando il loro sangue o le feci, respirando le polveri, spiumandoli ed eviscerandoli? Cosa rischiano i loro familiari e la collettività tutta?
Altro rischio è rappresentato dalla dispersione nell’ambiente degli uccelli infetti abbattuti e mai ritrovati, con la diffusione del virus tra la fauna selvatica, in particolare tra le specie più esposte ai virus influenzali
i suidi, il germano, l’alzavola, il codone, il fischione, la canapiglia, la marzaiola, la folaga, il mestolone, la quaglia, la starna, il fagiano, la pernice, offrendo così il contesto ideale al virus di mutare nel tempo ed arrivare, nella peggiore delle ipotesi, al tanto temuto salto di specie genetico.
Intanto proseguono i test sui campioni raccolti a Faenza nei laboratori dell’Izsler, l’Istituto Zooprofilattico sperimentale di Luco di Ravenna. I tecnici ipotizzano
uno squilibrio digestivo per eccesso di cibo legato ad un momento sfavorevole delle condizioni atmosferiche.
E per i casi di Modena? Luciano Rosi, capogruppo Pdl del comune di San Cesario, dove è avvenuta la moria, ha annunciato che i risultati delle analisi saranno resi pubblici e che
al momento non bisogna scartare alcuna ipotesi di natura virale, emorragica o da influenza aviaria, ma anche andando alla ricerca degli eventuali elementi chimici responsabili della morìa.
[Fonti: ASCA; TGcom]
[Foto: Leggo.it; gazzettadimodenageolocal.it]
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