Con l’innalzamento delle temperature sulle montagne, paradossalmente, alcune specie animali stanno morendo di freddo. Un clima più caldo significa meno neve durante i mesi invernali, ed animali che vivono sotto di essa corrono il rischio di perdere l’isolamento e rimanere al freddo. Più di un terzo delle popolazioni dei tassi che vivono nel Gran Bacino americano sono scomparsi, e l’US Fish and Wildlife Service sta riesaminando i dati più recenti per decidere se l’animale deve essere indicato come una specie in via di estinzione.
La popolazione dei pika, come sono chiamati negli States, e che hanno ispirato il celebre personaggio Pikachu, sono stati valutati dall’Ecological Society of America ad Albuquerque, in cui gli scienziati hanno considerato i pro e i contro del passaggio di gruppi di queste creature verso luoghi più ospitali, anche al di fuori dell’ecosistema a cui sono abituati. L’idea, conosciuta come “migrazione assistita” o “delocalizzazione gestita” è una strategia discutibile che alcuni considerano arrogante, e altri ritengono una triste necessità per garantire la possibilità per alcune specie di sopravvivere.
Secondo Jessica Hellmann, assistente professore di scienze biologiche presso l’Università di Notre Dame a South Bend, Indiana, questa è una scelta obbligata dal cambiamento climatico. Si stima che in tutto il mondo milioni di specie in pericolo di estinzione potrebbero potenzialmente sparire a causa dei cambiamenti climatici entro i prossimi 50 anni, secondo un rapporto del 2004 della rivista scientifica Nature. Una stima “ultra-prudente” l’ha considerata l’ecologo Alison Cameron del Max Planck Institute of Ornithology a Monaco di Baviera.
In Madagascar, ad esempio, decine di specie di rettili e anfibi sono stati avvistati spostarsi volontariamente verso maggiori altitudini, alla ricerca di climi più freschi. La farfalla di Quino, una volta la più popolosa del Sud della California, è ora elencata tra le specie in pericolo grazie ad una combinazione di cambiamenti climatici, incendi e sviluppo urbano. Mentre la scomparsa del rospo dorato, che non si vede più nelle foreste del Costa Rica dal 1989, è stata collegata all’aridità.
Quando una specie è minacciata, i biologi della conservazione si trovano di fronte ad una scelta. Si può cercare di conservare l’habitat, tutelare la razza in cattività, conservare i campioni di tessuto, o tentare una delocalizzazione gestita in un nuovo habitat.
Tradizionalmente, si trasferiscono specie in una regione che si sapeva un tempo abitate dai loro progenitori. Nel 1994, per esempio, la US Fish and Wildlife trasportò 150 lupi grigi, dal Canada al Parco Nazionale di Yellowstone per stabilire una nuova popolazione. Questo ha portato alla rimozione del lupo grigio dalla lista delle specie in pericolo nel 1998.
Ma anche con i dati storici alla mano, lo spostamento di una specie non è un compito facile, ma è anche complicato politicamente, socialmente, scientificamente ed eticamente. I dati al momento sono soltanto a livello “primitivo”, perché vanno fatte valutazioni scientifiche molto lunghe, le quali a volte per la mancanza di tempo vengono fatte con troppa rapidità.
Eppure, i primi tentativi di delocalizzazione gestita sono stati già fatti con le piante ed invertebrati, che sono più facili da spostare e disciplinati da regolamenti meno rispetto ai vertebrati. In un piccolo esperimento il biologo Stephen Willis ha spostato due specie di farfalle dal Sud dell’Inghilterra verso le regioni del Nord, individuate come habitat idoneo. Un decennio più tardi, le nuove colonie di insetti sono fiorenti e sempre allo stesso ritmo, come i loro cugini del Sud. Risultati simili si sono ottenuti anche con le piante.
Il rischio è che una nuova specie potrebbe diventare invasiva in un habitat diverso dal suo, e danneggiare le altre già presenti. Alcuni scienziati ritengono che la nostra capacità di prevedere se una specie introdotta si trasformerà in invasiva è stata migliorata dalle lezioni del passato, ed in questo modo la migrazione assistita diventerà sempre più semplice.
L’unica cosa su cui siamo tutti d’accordo è che c’è un vuoto politico che deve essere colmato
ha spiegato Mark Schwartz dell’Università della California. Un vuoto che tra 50 anni potrà diventare una voragine piena di animali che non vedremo mai più.
Fonte: [Livescience]
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