Golfo del Messico: a 1500 metri sotto il mare dal 20 aprile scorso, dopo l’esplosione della piattaforma Deepwater Horizon, migliaia di barili di petrolio continuano a sgorgare, malgrado i diversi tentativi di bloccare la falla. Parliamo della marea nera. Dire che Obama è arrabbiato sarebbe riduttivo. L’espressione usata dal presidente degli Stati Uniti durante un’intervista concessa alla Nbc non lascia adito a dubbi sui sentimenti di odio e disprezzo che nutre nei confronti della BP:
“Voglio sapere di chi è il sedere da prendere a calci”.
Non si risparmia, Obama, con la durezza verso i responsabili di uno dei peggiori disastri ecologici della storia umana. Nei giorni scorsi aveva aspramente criticato la scelta della compagnia petrolifera britannica di procedere alla spartizione dei dividendi, malgrado il grave danno ambientale nonché economico da risarcire a pescatori ed aziende del settore turistico delle coste interessate dal disastro. E aveva assicurato la popolazione colpita:
La Bp risarcirà appropriatamente ogni singola persona che ha subito danni dalla catastrofe.
Intanto la compagnia petrolifera annuncia di aver recuperato 14.800 barili di petrolio nelle ultime 24 ore, in concomitanza con i primi divieti di balneazione in Florida: è vietato nuotare a Perdido Key, spiaggia di un’isola delle Panhandle, lungo la linea di confine della Florida con l’Alabama, perché a riva è arrivata una sostanza bituminosa.
Flora e fauna marina continuano ad incatramarsi. Le immagini dei pellicani dell’oasi della Louisiana coperti da petrolio hanno fatto il giro del mondo.
Anche gli uccelli che vengono tratti in salvo e decatramati hanno poche possibilità di sopravvivere (dal 50 al 75%): il petrolio ingerito non gli lascia molti giorni da vivere, mandando letteralmente in tilt il loro sistema immunitario. I danni sono irreparabili. E avranno conseguenze gravissime sugli ecosistemi e di rimando sull’economia delle aree colpite, che vivono principalmente dei proventi di pesca e turismo.
E’ partita un’iniziativa, promossa da Greenpeace, per ridisegnare il logo della BP. Tutti possono partecipare. Se date un’occhiata ai loghi inviati finora da cittadini indignati di tutto il mondo, non vedrete altro che teschi e immagini che evocano morte e distruzione. Bye Bye Planet, scrive qualcuno.
E su Facebook non manca un bel tiodio dell’ormai pagina tormentone Viodio dedicato proprio alla compagnia petrolifera artefice del disastro. Ma la Bp non ci sta e cerca di contrastare la pubblicità negativa investendo in Google AdWords e impegnando ben 50 milioni di dollari in spot che tentano di convincere un’America sempre più attonita che risarciranno tutto e tutti e che ogni cosa tornerà al suo posto. Non torneranno al loro posto invece i pellicani di una delle oasi più belle della Louisiana, sulle spiagge di Queen Bess Island, nei pressi di Grand Isle. E nemmeno i delfini e tutti gli altri pesci le cui carcasse sono state inghiottite dall’oceano, come già accadde in altri disastri petroliferi: non si saprà mai il numero esatto di animali morti a causa della marea nera. Sicuramente, se i dati si baseranno solo sui cadaveri ritrovati, la cifra sarà sottostimata, stando al parere degli esperti.
L’America chiede risposte, ma non solo l’America: tutto il mondo vuole assicurarsi che tragedie simili non capitino mai più. Non impunentemente. A questo proposito Obama ha dato risposte chiare: il Minerals Management Service ha mantenuto in vigore la moratoria per le trivelle in profondità (come quella dell’incidente in atto), malgrado sia stato costretto, a causa delle forti pressioni per l’impatto sull’economia petrolifera, a emanare nuove norme di sicurezza per le trivellazioni in acque non profonde, più basse di 150 metri.
A 45 giorni dal disastro, il 3 giugno scorso, Steve Harrigan, un inviato di Fox News, ha registrato un video (lo trovate in fondo a questo articolo) a Grand Isle, in Louisiana. E ha ripreso dal vivo l’agonia dei pellicani.
Dovranno essere davvero bravi i pubblicitari assoldati dalla BP per coprire lo sdegno che si solleva alla vista di queste immagini. Giudicate voi stessi. Il commento del servizio è in inglese ma la lingua muta del pellicano sofferente parla un linguaggio universale. Quello delle nostre coscienze. Finite nel catrame. L’ultima finita nel fango è quella di Bill Gates, finora considerato un ambientalista da Greenpeace. In realtà, si è scoperto, l’inventore di Windows ha 7 milioni di azioni (il 7% del portafoglio di Gates) proprio nella BP malgrado una settimana fa lo stesso Gates avesse invitato a non investire nella compagnia petrolifera britannica. Da che pulpito.
Marco Mancini 9 Giugno 2010 il 3:35 pm
che pena quel pellicano….
Paola Pagliaro 9 Giugno 2010 il 4:18 pm
che rabbia!