Un incidente nel mare di Scozia? Impossibile! Rispondevano così le autorità britanniche ed i rappresentanti di Shell (magari ridendo tenendosi la pancia con le mani) alle domande preoccupate di giornalisti e ambientalisti quando, in seguito all’incidente dello scorso anno nel Golfo del Messico che ha riguardato la BP, tutte le trivellazioni in mare sono state messe sotto accusa. Ad un anno di distanza siamo tornati al punto di partenza.
Le autorità affermavano che le trivellazioni in quelle acque avessero ottenuto la certificazione “gold standard” che attesta la massima qualità possibile nei controlli di sicurezza. A questo punto viene da domandarsi come e con quali criteri certificazioni simili possano essere rilasciate, se giorni dopo l’inizio della fuoriuscita di petrolio, ancora i responsabili della Shell non hanno capito cosa devono riparare.
Oltre a indulgere nel greenwashing senza vergogna (la Shell ha scelto di chiamare la fuoriuscita e il conseguente inquinamento di 50 miglia quadrate con il gentile nome di “oil sheen” [sheen significa lucentezza, splendore, ndr]), il gigante petrolifero è stato tutt’altro che trasparente rispetto alla fuoriuscita dal momento in cui è cominciata. La pipeline ha cominciato a sversare mercoledì scorso, ci è voluto fino a venerdi alla Shell per confermare pubblicamente l’incidente. Dopo 5 giorni, ancora non avevano dato abbastanza informazioni per sapere quanto grave sia la fuoriuscita. La Shell non ha confermato quanto petrolio è fuoriuscito (anche se è opinione diffusa che sia circa 100 tonnellate) e la compagnia ha anche assicurato che la perdita è “sotto controllo”, mentre, secondo molti report, il petrolio continua a sversare dalla piattaforma Alpha Gannet
denuncia Greenpeace. Per intenderci quelle 100 tonnellate dovrebbero equivalere all’incirca a 1.300 barili di petrolio. La rabbia che viene osservando queste vicende si amplifica quando ci rendiamo conto che ci stanno letteralmente prendendo in giro. Le trivellazioni in mare sono sicure, dicevano, ed ecco la marea nera nel Golfo del Messico, questa in Scozia, e le tante altre passate e sicuramente future. Un po’ come il discorso del nucleare sicuro, come abbiamo visto in Giappone. E’ evidente che a tecnologia pericolosa corrispondono conseguenze pericolose, ed è per questo che Greenpeace si è già mossa per evitare che la Shell cominci a trivellare nella regione artica.
La multinazionale infatti sta facendo pressione per avere l’ok dalle autorità, ma visti i rischi ambientali l’associazione ha chiesto che questo non venga mai concesso:
La Shell è tra le aziende che stanno cercano di ottenere rischiose perforazioni nella regione artica. Se non è in grado di impedire una fuoriuscita di petrolio nel Mare del Nord “ultra sicuro”, dobbiamo chiederci: come farà a gestirla nella natura incontaminata dell’Artico, dove le condizioni estreme significano che qualsiasi fuoriuscita di petrolio sarebbe quasi impossibile da ripulire?
Cecil 1 Marzo 2017 il 3:13 am
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