Spadare e ferrettare sotto accusa nel dossier di Legambiente, LAV e Marevivo che mappa la malapesca italiana. Il documento diffuso dalle tre associazioni in questi giorni dal titolo La pesca Illegale, Non documentata e non Regolamentata nell’Unione Europea: il caso delle derivanti italiane, denuncia l’uso illegale delle reti derivanti, piaga della pesca italiana, che causano la cattura e la morte di specie protette e a rischio di estinzione, in primis tartarughe, delfini, squali e balene.
Ad ottobre si conclude nel nostro Paese la stagione di pesca del pescespada, ma il mare di illegalità non si ferma e non conosce limiti legali di tempo e coscienza.
Nei primi sei mesi del 2010, solo per darvi un’idea del fenomeno della malapesca, sono stati 37 i pescherecci sanzionati a causa dell’uso illegale ed improprio di reti. Le associazioni ambientaliste hanno individuato i porti italiani in cui ci sono più pescherecci che praticano la pesca illegale, porti che hanno ricevuto la maglia nera del settore, ovvero la bandiera pirata. Si tratta dei porti di Ponza, Bagnara Calabra, Lipari, Porticello, Santa Maria La Scala, scali che ospitano oltre un terzo di tutti i pescherecci pirata, tollerati dalle autorità locali. Una nota di demerito a parte va al comune di Acitrezza, colpevole, per le associazioni ambientaliste, di aver addirittura celebrato lo scorso giugno la Sagra del Pescespada di San Giovanni pescato dalle storiche spadare trezzote.
Spiegano Legambiente, LAV e Marevivo che
La Pesca Illegale, Non dichiarata e Non documentata (Pesca INN) contribuisce allo sfruttamento eccessivo degli stock ittici, danneggia gli ecosistemi marini e costituisce una forma di concorrenza sleale nei confronti dei pescatori onesti. Si stima che il volume d’affari della pesca illegale a livello mondiale possa essere superiore a 10 miliardi di euro.
In Italia il problema è aggravato dalla mancata applicazione di sanzioni efficaci che non consente di intensificare le misure repressive. A ciò si aggiungono gli atteggiamenti di tolleranza, talvolta al confine con la compiacenza che spesso si riscontrano da parte delle autorità italiane nei confronti di chi opera al di fuori delle norme.
Le associazioni contestano le sanzioni massime poco onerose, appena 4mila euro, la metà per chi patteggia, e il sequestro delle reti che spesso non viene confermato dai giudici. Il Decreto Ministeriale del 1998, quello che prevede la sospensione dell’autorizzazione di pesca dai 3 ai 6 mesi, non viene mai applicato, anzi è stato sconsigliato dalla Direzione Generale della Pesca del Ministero dell’Agricoltura.
Lo scandalo è che i fondi stanziati dall’UE per la riconversione delle spadare in sistemi di pesca più sostenibili, sono andati a pescherecci molti dei quali hanno continuato ad usare le reti illegali, tanto che la Commissione ha disposto la restituzione dei 7,7 milioni di euro versati.
In arrivo dall’UE, fortunamente, norme più rigide che penalizzano le infrazioni in tempi più rapidi e metodi più incisivi di quelli attuati finora, grazie al nuovo regolamento sulla Pesca INN entrato in vigore il 1 gennaio 2010 con
sanzioni che prevedono la sospensione degli aiuti comunitari destinati alla pesca e l’inserimento in lista nera dei pescherecci pirata.
Per saperne di più sulla malapesca italiana consultate il dossier completo di Legambiente, Marevivo e LAV.
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