Un leone paralizzato da un terribile virus. Si chiama Ariel ed ha soltanto tre anni. Un esemplare inerme nonostante i suoi 140 chili, confinato in un letto, a San Paolo, in Brasile, dove è assistito amorevolmente da Raquel Borges e dal veterinario Livia Pereira che ha deciso di portarlo a vivere a casa sua per riuscire ad accudirlo al meglio. La sua storia ha fatto il giro del mondo ed ha commosso migliaia di persone che hanno partecipato ad una campagna di raccolta fondi per aiutare l’animale a vincere la sua battaglia contro un male oscuro che fa più paura del re della foresta.
Inutile dirlo, in natura Ariel non sarebbe sopravvissuto a lungo: le leggi della selezione naturale non lasciano scampo agli animali malati, deboli, per evitare la trasmissione di fattori genetici che indeboliscano le generazioni future della specie. E la malattia di Ariel, secondo il veterinario che lo ha in cura, presenta sintomi simili a quelli della sclerosi multipla, del morbo di Parkinson e della sindrome di Guillain-Barre, una malattia autoimmune che può causare paralisi.
Ad interessarsi al suo caso un’équipe di veterinari neurologi afferente alla Hebrew University of Jerusalem che sta studiando la patologia degenerativa che colpisce Ariel per approndirne la causa e la natura e cercare di capire se c’è una cura possibile. A fine mese si conosceranno i risultati delle loro analisi. Il loro viaggio in Brasile è stato finanziato da una modella brasiliana che risiede a New York, Graziela Barrette, commossa dal caso di Ariel.
Il leone è nato in in rifugio per animali abbandonati gestito a Maringa dalla Borges e da suo marito. Si è ammalato lo scorso anno. E’ stato sottoposto ad un intervento per rimuovere un’ernia del disco e da allora ha perso il controllo delle zampe anteriori. Un medico brasiliano si è offerto di eseguire la plasmaferesi su di lui ma i macchinari che solitamente si usano per effettuare la pulizia del sangue dovrebbero essere adattati alla stazza dell’animale.
Per mantenerlo, tra pannoloni, cibo ed assistenza, occorrono 11.500 dollari al mese. A sostenere le spese sono molti dei 35 mila fan presenti sulla Fan Page Facebook di Ariel. La proprietaria spera che presto i veterinari capiranno come guarire l’animale e che un giorno il leone riprenda a camminare sulle sue zampe ma per andare dove, ci domandiamo? La dignità di questo leone, invece, sarà più difficile da recuperare, l’ha persa molto tempo fa, quando ha dormito, ancora sano, fino ai dieci mesi, nel letto di un essere umano, coccoloso ed inoffensivo come un leone non dovrebbe essere. E a vederlo così, tra pannoloni, flebo ed ambulatori asettici, a conti fatti la morte non sarebbe un destino peggiore dell’esistenza a cui è costretto.
[Fonte: Dailymail]
Pauerpleir 29 Luglio 2011 il 2:00 pm
Gentile Paola,
lungi da me sostenere in alcun modo l’allevamento in cattività di animali senza una secolare storia di addomesticamento alle spalle.
Fortunatamente credo che simili pratiche abbiano oggi ben pochi sostenitori, tanto che esistono norme atte a scoraggiare sia il bracconaggio che il commercio di specie protette da trattare come animali d’affezione. Non dubito che Ariel, da cucciolo, abbia avuto dei trascorsi drammatici, tali da giustificare l’affidamento a un rifugio.
Comunque sottoscrivo le sue riserve sull’opportunità di trattare un leone come un Labrador Retriver. Ariel è enormemente umanizzato, cosa che disturba e offende la sensibilità contemporanea di alcuni osservatori, che è sintomatica di una nozione a mio giudizio discutibile dell’umano concetto di “amore per gli animali non umani”, ma che non necessariamente fa soffrire l’individuo Ariel.
Nelle immagini Ariel non sembra dolente, solo paralizzato.
Non appare nervoso nè maltrattato.
Ha una vita di branco. Una vita affettiva e relazionale (perversamente? può darsi) legata a soggetti di specie umana, ma ce l’ha.
E ha anche una dignità che nessuno può toglierli.
Discordo quando scrive che Ariel non ha dignità. La dignità di un malato andrebbe misurata con i suoi occhi, secondo me, non con i nostri, che possono essere pieni di pietà, di giudizio e di semplici convinzioni – magari fondatissime – sulla qualità della vita di questa o quella specie.
Queste persone probabilmente pensano ad Ariel come a un individuo, non come a un esemplare della sua specie. Possono sbagliare in tutto il resto, per carità, ma in questo io vedo del buono. Credo sia ciò che più manca all’ambientalismo contemporaneo.
Un saluto
Paola Pagliaro 29 Luglio 2011 il 9:14 pm
Grazie per aver condiviso con me il tuo punto di vista su quella che è una vicenda piuttosto complessa e che ovviamente ognuno di noi interpreta con uno sguardo parziale non conoscendo in effetti i trascorsi di Ariel ovvero come sia giunto al rifugio… sul fattore dignità non metto in dubbio la buona fede dei “proprietari” di Ariel ma quando ho letto le dichiarazioni della “padrona” su come il leone dormisse da cucciolo nel letto insieme a lei istintivamente ho provato indignazione per come un leone possa essere trattato alla stregua di un peluche, magari lui non ne soffre perché non se ne rende conto ma certi istinti sono genetici e la libertà credo manchi anche agli animali più coccolati e vezzeggiati… ho portato il mio gatto dai miei in campagna quando mi sono resa conto che guardava fuori nervoso e scontento, con occhi tristi ed imploranti… ho sofferto la sua mancanza ma ora è felice… credo che far fare la fisioterapia ad un leone e mettergli un pannolone sia tremendamente sbagliato, un atto di egoismo… il maltrattamento, a mio avviso, non si limita alle mere percosse ed alle sevizie, è maltrattamento anche trattare un leone come un essere umano…
A presto
Paola
zucca 22 Novembre 2013 il 3:32 pm
stanno fuori ma xkè nn lo lasciano morire in pace a sto povero leone?a stento gli umani riescono a sopportare di sopravvivere da paralizzati figuriamoci un animale. se in natura non si sopravvive in certe condizioni è xkè è giusto così. dubito k la sua malattia sia curabile. sti soldi potevano spenderli x aiutare gli animali abbandonati in quei canili ke sembrano lager.