L’ennesimo conto da pagare per i danni da riscaldamento globale è la mortalità di massa di spugne e coralli del Mediterraneo. L’estate marina si è infatti allungata di circa un mese se si considerano i dati registrati nel 1974 e secondo gli ultimi rilevamenti, che risalgono al 2006, le temperature delle acque sono aumentate considerevolmente, provocando la scomparsa da molti fondali di microorganismi particolarmente esposti e sensibili ai cambiamenti climatici.
Ad appurare le conseguenze della febbre dei nostri mari è stato un recente studio spagnolo effettuato da un team di ricercatori del Consiglio Superiore di Ricerche Scientifiche (CSIC), e pubblicato sulla rinomata rivista di divulgazione scientifica Proceedings dell’Accademia nazionale di scienze statunitense.
Gli episodi di mortalità fuori dalla norma di organismi invertebrati sono stati registrati dagli studiosi nel Mar Ligure e nella gran parte del Mediterraneo nord occidentale.
I ricercatori hanno cercato le cause della scarsa resistenza di spugne e coralli alle estati sempre più torride e hanno trovato una spiegazione nella mancanza di mescolanza tra le acque profonde più fredde e ricche di elementi nutritivi e quelle superficiali. Mancanza dovuta proprio all’eccesso di escursione termica tra la superficie marina, caldissima, e i fondali con temperature più rigide. Un fenomeno naturale che solitamente si protrae per tutta l’estate, ma che con il prolungarsi della stagione calda a circa trenta giorni in più ha scosso profondamente gli equilibri di spugne e coralli presenti sui fondali del Mediterraneo. Spiega Rafael Coma, del Centro di studi avanzati di Blanes (Girona):
Sopportano una durata normale delle condizioni avverse rappresentate dal periodo estivo ma non possono superare un prolungamento anomalo, specialmente se questo si produce in combinazione con temperature elevate in maniera anormale. La causa della mortalità di questi organismi è lo stress fisiologico dovuto alle limitazioni energetiche. Le alte temperature comportano infatti un maggiore sforzo respiratorio e non c’è molto alimento disponibile, dato che gli elementi nutritivi non salgono dalle acque profonde più fredde a quelle superiori, più calde.
[Fonte: Ansa Ambiente]