In molti si preoccupano di quanto ci costerà il nucleare, cifre che ancora non sono completamente chiare e che si sa già che lieviteranno con il tempo. Ma in realtà l’Italia sta già pagando per il nucleare che non ha. Ad affermarlo sono i Verdi che, in occasione del ventiquattresimo anniversario di Cernobyl hanno presentato una relazione in cui si indica lo stato del Paese in merito alle scorie tossiche lasciateci in eredità dalle vecchie centrali ormai dismesse.
Secondo i Verdi dunque, l’Italia pagherebbe ogni anno per tenere in sicurezza le scorie ben 500 milioni di euro, per un totale di 12 miliardi solo negli ultimi 20 anni. E non abbiamo ancora delle centrali attive, figuriamoci dunque cosa accadrà quando effettivamente entreranno in azione.
Il costo può apparire eccessivo, ma è obbligato in quanto le scorie sono molto pericolose, potrebbero contaminare il terreno e le acque portando a conseguenze inimmaginabili in caso di fuoriuscita, ed inoltre il problema è che le avremo praticamente per sempre. Stiamo infatti stoccando 90.000 metri cubi di rifiuti tossici e radioattivi, suddivisi in rifiuti di seconda categoria, che rimangono pericolosi per circa 300 anni, e di terza categoria, i quali mantengono la carica radioattiva per addirittura 250.000 anni.
Come se non bastasse, nei progetti del Governo c’è la costruzione della centrale di stoccaggio dei rifiuti (perché il problema non è solo la centrale, ma soprattutto dove mettere gli scarti) nella zona del Garigliano, un’area tra Caserta e Latina dove altro materiale pericoloso era già stato stoccato, ed ha provocato una piccola Cernobyl anche in Italia.
I media “ufficiali” ormai se lo sono dimenticato, o cercano di farlo dimenticare anche alla popolazione, ma in quella zona negli anni ’70 si sono avuti incidenti a ripetizione che hanno messo in grave pericolo la zona circostante.
Nel dicembre 1976 il fiume Garigliano in piena, entra nel locale sotterraneo raccogliendo oltre un milione di litri d’acqua contaminata. Un incidente analogo si verifica nel novembre del 1979. Poi passa un anno, e nel novembre del 1980 le piogge abbondanti penetrano nella centrale e fuoriescono nel fiume portandosi dietro cesio 137. Due anni dopo un contenitore su rimorchio ferroviario da Roma perde per strada 9.000 litri di acqua con cobalto 58, cobalto 60, e manganese 54
raccontano i Verdi nel loro rapporto, dove documentano anche due esplosioni nei filtri del camino avvenute nel ’72 e nel ’76. Questi incidenti hanno contaminato 1.700 km quadrati di mare, ragion per cui Giulia Casella, presidente del circolo Legambiente di Sessa Aurunca afferma, in modo pienamente condivisibile, che
Si tratta di un’ipotesi sciagurata. L’area è inadatta dal punto di vista idrogeologico. E non lo diciamo noi. Lo attesta un documento del Governo del 1985.
E dire che il nucleare all’Italia non serve affatto.
Fonte: [Repubblica]
Shay 1 Marzo 2017 il 2:54 am
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