Goi oggi è un villaggio abbandonato. Gli stagni in cui una volta abbondava il pesce e l’allevamento di polli che erano l’orgoglio del suo capo, Barrisa Tete Dooh, giacciono abbandonati, coperti da uno spesso strato nero. Il villaggio di pescatori è contaminato, la scuola è stata saccheggiata, le foreste di mangrovie sono rivestite di bitume e tutti si sono rifugiati in un luogo meno degradato dallo sfruttamento del bene più prezioso della regione: il petrolio greggio.
Giovedi scorso, uno studio delle Nazioni Unite ha reso noto tutto l’orrore dell’inquinamento che la produzione di petrolio ha portato a Ogoniland negli ultimi 50 anni. Il rapporto delle Nazioni Unite ha dimostrato che le compagnie petrolifere e il governo nigeriano hanno letteralmente distrutto un intero territorio, infischiandosene delle vittime, quelle migliaia di persone che lungo il delta del Niger ci vivevano. Per renderci conto della quantità di petrolio che invade quelle zone, si può immaginare una tragedia come quella della marea nera del Golfo del Messico che si ripete ogni anno.
Le compagnie petrolifere stanno sfruttando il sistema normativo debole della Nigeria da troppo tempo. Non sono state adottate misure per prevenire i danni ambientali e spesso non si riesce ad affrontare adeguatamente l’impatto devastante che la loro cattiva pratica ha sulla vita delle persone
ha dichiarato Audrey Gaughran di Amnesty International. Goi, una sessantina di chilometri da Port Harcourt, è un caso tipico. Si trova a pochi chilometri da dove la Shell ha trovato la prima fonte di petrolio nell’Ogoniland nel 1958, e da allora lo sfruttamento non ha mai avuto fine. Sin dal 1994 gli abitanti si sono uniti in grandi marce di protesta, e periodicamente tentano di bloccare la produzione pacificamente. Peccato che la multinazionale non abbia risposto altrettanto pacificamente, e 9 leader della protesta sono stati processati con l’accusa inventata di omicidio, e giustiziati.
Una tranquilla comunità di pescatori di meno di 100 persone, Goi è stata costantemente indebolita e poi distrutta da una serie di fuoriuscite di petrolio che, da oltre 20 anni, hanno di fatto reso inutilizzabili le paludi, lagune, fiumi e torrenti. L’esodo è cominciato sul finire degli anni ’80 e, secondo il capo Dooh, nel 2008 il villaggio era stato quasi completamente abbandonato. Operazione completata oggi, quando le popolazioni sono state sfrattate dal petrolio.
Per questo Dooh ha deciso di ribellarsi al sistema, ed insieme al supporto dell’associazione Amici della Terra ha deciso di recarsi nei Paesi Bassi, ed in particolare al tribunale internazionale dell’Aja, per fare causa alla multinazionale per negligenza. Uno degli esempi portati risale al 2004, quando l’oleodotto della Shell vicino al suo villaggio, che pompava 120.000 barili di petrolio, è scoppiato, devastando l’intera area. La causa è stata la corrosione di tubature vecchie di decenni, ma la Shell sostiene che si è trattato di un sabotaggio.
Quella di Dooh non è stata l’unica mossa legale contro la compagnia petrolifera. Oltre mille casi sono stati aperti nei suoi confronti, ma quasi tutti si sono risolti con l’assoluzione (si è trattato spesso di sabotaggio per rubare petrolio, ma perché la gente non aveva altro con cui vivere) o con il pagamento di ammende che, per una società che esporta petrolio in tutto il mondo, equivalgono a pochi spiccioli. Un’altra causa dei cittadini di Goi contro la Shell va avanti da oltre 14 anni, e non c’è molta speranza che qualcosa cambi stavolta.
Tutto questo ha portato anche un’altra conseguenza: la proliferazione di armi che ha reso il delta del Niger uno dei posti più pericolosi del mondo. Ormai non è più una sorpresa trovare dei ragazzini di nemmeno 15 anni con in braccio un fucile più grande di loro. La conseguenza sono state le guerre del Biafra ed in altre zone africane che sono tornate utili alle compagnie petrolifere dato che gli indigeni rimangono occupati mentre distruggono la terra dei loro antenati.
[Fonte: the Guardian]