Sulla scia della visita incentrata sul clima di Hillary Clinton a Pechino, una nuova relazione dettagliata dimostra quanta CO2 l’Occidente “provoca” alla Cina, quando acquista il “made in China”. Circa il 9% del totale delle emissioni cinesi sono il risultato della produzione delle merci per gli Stati Uniti, mentre il 6% proviene dalla produzione di merci per l’Europa. Ma chi è responsabile, e come si può ovviare a questa situazione?
Il dato del 15% totale delle emissioni prima dimostrate dev’essere almeno raddoppiato se consideriamo i costi di trasporto, effettuati nella quasi totalità da imbarcazioni cinesi perché meno costose, e dallo smaltimento dei residui della lavorazione per i prodotti Occidentali. Da questo si evince che almeno un terzo delle emissioni cinesi sono di responsabilità europea e americana. La nuova ricerca, che sarà pubblicata questo mese sulla rivista scientifica Geophysical Research Letters, mostra che circa un terzo di tutte le emissioni di carbonio cinese tra il 2002 e il 2005 sono ampiamente dimostrabili di provenienza Occidentale. Ovviamente non si può pensare che dal 2005 ad oggi la situazione sia cambiata di molto.
Secondo una recente ricerca del Carnegie Mellon di Stoccolma non solo questi dati vengono confermati, ma se ne aggiungono altri, come quelli dei famosi “carbon credit“, i crediti del diritto ad inquinare, i quali supererebbero abbondantemente quelli europei, trovando un escamotage per inquinare di più senza farsi scoprire. La relazione sottolinea che la questione rimarrà irrisolta anche dopo la conferenza sul clima di Copenaghen, dove i leader mondiali cercheranno di trovare un accordo per sostituire il protocollo di Kyoto.
Il problema delle emissioni però non si ferma solo in Cina, ma viene esportato anche in Africa. In quelle terre infatti la Cina estrae la maggior parte delle risorse per produrre merci Occidentali, producendo ulteriore gas serra.
L’unico modo congruo per affrontare il problema sarebbe calcolare la produzione di CO2 non in base alla produzione delle emissioni vera e propria, ma in base al consumo. Questa è la soluzione di Dieter Helm, professore di economia presso l’Università di Oxford, intervistato sull’argomento dal Guardian. Una tassa di importazione di carbonio potrebbe essere una soluzione, in quanto non sarebbe troppo politicamente o economicamente difficile per i funzionari cinesi e occidentali e per i consumatori individuare l’inquinamento prodotto. Un membro della delegazione cinese alla conferenza sul clima dello scorso anno chiedeva ad alta voce se l’Occidente non possa modificare la sua abitudini di consumo per il bene della Cina. Ovviamente nessuno gli ha dato ascolto.
I funzionari americani hanno detto che sarebbe ingiusto dare alla Cina dei vantaggi economici; i politici occidentali hanno dichiarato di non avere intenzione di applicare restrizioni nella loro strategia in Cina, mentre quelli asiatici puntano il dito contro gli Occidentali. Entrambe le parti devono ricordare che non importa chi ha colpa, le fabbriche inquinanti e le centrali elettriche a carbone fanno male alla Cina, e adesso il Governo cinese non è più in grado di ripulire il proprio Paese dall’inquinamento. E a pagarne alla fine sono tutti, visto che l’inquinamento non guarda in faccia a nessuno.