Gli impianti a biomasse dovrebbero essere, in teoria, sempre considerati sostenibili in quanto producono calore ed elettricità utilizzando fonti rinnovabili che non emettono CO2. Dovrebbero, appunto, tranne alcuni casi che di sostenibile hanno solo il nome. E’ quanto riferisce Legambiente a proposito di un impianto a biomasse liquide di Vasto che, secondo i responsabili dell’associazione, non sembra affatto ecologico.
L’impianto sotto accusa è l’Istonia Energy che produce all’incirca 4 Mw elettrici con tecniche discutibili. In questo momento c’è una polemica aperta anche a proposito del finanziamento ottenuto con metodi piuttosto “forzati” per acquistare i macchinari produttivi, ma a noi questa polemica non interessa. A noi interessa capire se questa struttura è o non è sostenibile come dice. Legambiente precisa i 3 punti fondamentali che un impianto a biomasse dovrebbe rispettare per poter essere considerato sostenibile:
1) Filiera corta: non ha senso non emettere nemmeno un grammo di CO2 nella produzione se poi le materie prime devono compiere migliaia di chilometri passando da un’azienda all’altra, in particolare quando non è possibile la tracciabilità, per raggiungere lo stabilimento;
2) Impianti di piccole dimensioni, dato che devono soddisfare le esigenze solo del territorio e non devono perciò eccedere nella produzione, anche perché altrimenti automaticamente la biomassa locale non sarebbe più sufficiente a soddisfare il fabbisogno dell’azienda;
3) Standard di rendimento che deve favorire la cogenerazione (produzione elettrica e di calore), sempre mirata a soddisfare le necessità di abitazioni e aziende locali, “fermando gli interventi speculativi” come sottolinea un comunicato dell’associazione ambientalista.
Ed invece l’azienda messa sotto accusa non sembra soddisfare nessuno dei tre punti elencati, in particolar modo proprio l’utilizzo della materia prima che è talmente elevato da rendere impossibile l’approvigionamento soltanto dalle aziende locali. Giuseppe Di Marco, coordinatore di Legambiente della zona, ha calcolato che per il fabbisogno dell’azienda servono 9 mila tonnellate di olio vegetale all’anno, il quale proviene da circa 10 mila ettari terreno. La domanda che sorge a questo punto è: dove sono questi terreni? E’ evidente che la materia prima dev’essere importata, e dunque la filiera poco chiara e che sicuramente è molto lunga rende molto poco sostenibile quest’impresa.
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