La sentenza del tribunale del Riesame di Taranto la potremo avere da un momento all’altro entro giovedì, ma a quanto pare l’idea che si sta facendo strada nelle ultime ore è di riaprire le aree a caldo in un primo momento sequestrate, ma avviare immediatamente le opere di bonifica. A rischio infatti non ci sono soltanto i quasi 12 mila lavoratori tarantini, per non parlare dell’indotto, ma anche le filiali di Genova e Novi Ligure che “dipendono” da Taranto.
Senza ciò che viene prodotto in Puglia, dice il presidente dell’Ilva Bruno Ferrante, non può andare avanti nemmeno la produzione negli altri due stabilimenti italiani, con ricadute sull’intera economia nazionale. Per questo ha più senso riprendere a lavorare, adempiendo ai doveri di ristrutturazione aziendale per tentare di utilizzare tecnologie più pulite, piuttosto che chiudere tutto e magari riaprire tra quattro anni quando tutti i lavori saranno completi.
Su questo punto è d’accordo anche il Ministro allo Sviluppo Economico Corrado Passera, che ha spiegato come una chiusura in questo momento significherebbe la morte per l’azienda. Questi forni così delicati non è che si spengono così come si fa con il forno domestico; una volta spenti non ripartono più. Dunque quali sono le proposte? Prima di tutto l’azienda si riserva di comunicare entro la fine del mese quali interventi è in grado di avviare e vuole applicare. L’obiettivo è di contenere le emissioni entro i limiti stabiliti dalla legge.
Dopodiché si chiederà all’azienda di ridurre la propria produzione nelle giornate di forte vento, segnalate dall’Arpa, per evitare la dispersione delle polveri dei parchi minerari. Questo forse è il punto più dibattuto perché significherebbe un forte rallentamento nella produzione aziendale. Non ci dovrebbero invece essere problemi sull’installazione delle centraline di monitoraggio delle emissioni a spese dell’Ilva e sul registro dello slopping, l’inquinamento dovuto alla fuoriuscita di gas e fumi rossastri dai camini dello stabilimento tanto contestati dagli ambientalisti.
Le rilevazioni serviranno per trovare il metodo per ridurle, ed approntare delle barriere di protezione per evitare che finiscano nei polmoni dei cittadini che vivono nei pressi dell’azienda. Nel frattempo è stato stabilito come verranno spesi i soldi pubblici: 119 milioni saranno destinati alle opere di bonifica, 187 milioni per interventi portuali e 30 milioni per gli investimenti produttivi in tecnologie pulite. Ora non resta che attendere la sentenza.
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