Greenpeace lancia l’allarme per le sostanze chimiche pericolose nei capi di abbigliamento outdoor: i PFCs sono stati ritrovati in tutti i vestiti sottoposti a test. Piccole marche sconosciute, si penserà. Tutt’altro: si parla di Adidas, Columbia, Mammut, Patagonia, The North Face, Northland e altre.
Greenpeace ha rilevato sostanze chimiche pericolose nel vestiario di alcuni dei più importanti brand per i capi outdoor, Patagonia, Northland, Adidas, The North Face, l’azienda italiana Salewa. I 17 test effettuati hanno in 17 casi riportato la presenza di perfluorinati e perfluorocarburi, PFCS. Come giustamente sottolinea Chiara Campione di Greenpeace
Le aziende di abbigliamento outdoor usano, molto spesso, le immagini di una natura selvaggia e incontaminata nella loro pubblicità, eppure i loro prodotti contengono sostanze pericolose che contaminano persino la neve in alta montagna. Non è un problema solo dei Paesi dove si trovano le industrie tessili. Il nostro studio dimostra sostanze come i PFC, altamente volatili, evaporando, viaggiano anche nell’aria che respiriamo oltre che nell’acqua, quando facciamo il bucato.
Ma cosa sono questi PFC? Si tratta di composti chimici che hanno una persistenza particolarmente elevata nei più svariati contesti ambientali, inoltre sono in grado di danneggiare i sistemi immunitari e provocare malattie della tiroide. Tra gli esempi di abbigliamento fuori legge troviamo un guanto Mammut in cui il perfluorottano sulfonato, PFOS, è contenuto in quantità pari a 9 volte quelle stabilite dal limite di legge.
Le giacche da outdoor commercializzate da Jack Wolfskin, da Mammut e da Schoffel erano particolarmente inficiate da acido perfluorottanico, mentre fluorotelometri sono stati rinvenuti durante gli esami di Greenpeace nella stragrande maggioranza dei giacconi analizzati. E questesono solo alcune delle contaminazioni venute fuori dagli esami. Insomma, Greenpeace lancia un nuovo affondo alla moda tossica e colpisce nel segno: negli ultimi due anni gli attivisti hanno spinto 18 aziende a impegnarsi nella produzione di vestiario non tossico entro il 2020. Speriamo che i nuovi brand si uniscano nelle intenzioni di cambiamento.
Photo credits | Jay Shouldol su Flickr