Continuano a crescere le nazioni atomo-dipendenti che hanno deciso di abbandonare l’energia nucleare. Oggi tocca al Giappone, la nazione simbolo del problema nucleare dopo ciò che è accaduto a Fukushima. Ad annunciare l’uscita dal programma atomico è il presidente Naoto Kan, l’uomo più criticato d’Asia per come ha gestito il disastro dell’11 marzo scorso, sottovalutando i rischi e non raccontando a pieno la verità. Per questo ha deciso di recuperare un po’ di credibilità annunciando un piano per far uscire il Giappone dal nucleare.
Non si può più sostenere che la politica condotta fino ad oggi garantisca la sicurezza dello sfruttamento dell’energia nucleare. Dobbiamo concepire una società che possa farne a meno
ha annunciato questa notte, sostenendo che ci potrebbero volere anche più di 10 anni per smantellare i reattori di Fukushima, ed in pratica rendendosi conto che i 54 reattori operativi nel suo Paese, più che un’opportunità, possono rappresentare un enorme problema. Se infatti non si trovano i soldi e i mezzi per smantellare una carcassa di cemento pronta ad esplodere come quella colpita dallo tsunami e già mezza distrutta, come potranno risolvere il problema di altri 54 reattori?
Si tratta di una svolta importante, epocale verrebbe da dire, dato che il Giappone è fortemente dipendente dall’energia nucleare. Attualmente infatti la sua dipendenza dall’atomo sfiora il 30%, molto più della Germania che oltre un mese fa circa decise di abbandonare questa forma energetica. Dunque come fare per soddisfare i bisogni energetici dei cittadini? La risposta, come sempre, sta nelle rinnovabili.
Ci sono due strade da prendere. Una è il blocco programmato delle centrali. Dopo il terremoto/tsunami del marzo scorso, tra manutenzione, test e problemi di altra natura, sono stati temporaneamente bloccati 35 reattori su 54. E senza questi il Giappone ha continuato a funzionare correttamente. Per questo diventa evidente che già cominciando a chiudere da oggi le centrali, magari quelle che non passano gli stress-test, non ci dovrebbero essere grossi cali di tensione. Successivamente bisognerà convertire il piano che, prima del disastro, vedeva una crescita graduale del ricorso all’energia atomica fino al 50% entro il 2030, spostando i finanziamenti dall’atomo alle rinnovabili.
In particolare il Giappone ha intenzione di investire sul solare sui tetti, sull’eolico (molto probabilmente off-shore, visto il poco spazio sulla terraferma disponibile) e le biomasse, in modo da innalzare la quota delle rinnovabili e, contemporaneamente, continuare con la chiusura delle centrali, fino ad un giorno in cui anche l’ultima centrale nucleare verrà definitivamente chiusa. Non sono ancora noti i tempi di questa fase, ma già il fatto che se ne parli è una grande conquista.
Robbin 1 Marzo 2017 il 1:36 am
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