La tecnica estrattiva del fracking si espande con il via libera in Algeria, dove la costruzione di un nuovo pozzo inaugura l’epoca dello shale gas. Le proteste e le manifestazioni dei cittadini non si sono fatte attendere, con studenti e abitanti della regione interessata che si sono uniti in una prima mobilitazione.
Via libera all’estrazione tramite fracking anche in Algeria, dove un pozzo per lo shale gas è stato costruito dalla compagnia petrolifera di proprietà statale Sonatrach: c’è chi parla della possibilità di estrarre 200 mila miliardi di metri cubi di gas scisto dal territorio algerino con l’invasiva ed estremamente deleteria tecnica del fracking. E subito si sono mobilitati i cittadini, con 1500 persone che hanno protestato a In Salah, dopo l’arresto precauzionale di alcuni manifestanti da parte della polizia, nel giorno del 31 dicembre 2014, mentre il 4 gennaio 2015 una nuova manifestazione ha visto la partecipazione di tremila cittadini davanti alle sedi municipali di Tamanrasset ed El Menea. Va sottolineato come la regione dove hanno avuto luogo le manifestazioni sia caratterizzata dall’aridità, da condizioni già difficili, i cui cittadini, peraltro, ricordano ancora bene le conseguenze sul territorio dei test nucleari francesi degli anni sessanta. Va da sé che le preoccupazioni della popolazione per le scarse e importantissime risorse idriche sono assolutamente condivisibili, se si pensa alle contaminazioni delle falde idriche californiane dovute alle attività di fracking per l’estrazione del gas. I cittadini chiedono pertanto un blocco delle estrazioni con la tecnica della fratturazione idraulica e l’apertura di un dibattito sugli effetti del fracking sull’ambiente e quindi sulla salute nonché sulle risorse naturali e l’economia delle zone interessate.
Il ministro per l’Energia dell’Algeria, Youcef Yousfi, ha annunciato di persona il successo della prima trivellazione di shale gas ad appena 50 chilometri da Tamanrasset
Assistiamo al successo della prima vera operazione di sfruttamento di gaz de schiste nel bacino di Ahnet, dove siamo riusciti a produrre del gas estremamente compatto situato in delle rocce impermeabili.
E poco dopo il ministro ha parlato di un altro bacino per l’estrazione di gas di scisto a Timimoun e di un ulteriore bacino petrolifero di scisto individuato vicino a Berkine. Rilevazioni precedenti hanno stimato la presenza di gas di scisto su un’area di 100 mila km quadrati, con la compagnia Sonatrach che ha parlato di 2 miliardi di metri cubi di gas per km quadrato, per il già citato dato dei 200 mila miliardi di metri cubi di gas ipoteticamente presenti nel territorio. Di tutte queste risorse, il 10 per cento circa sarebbero da estrarre tramite fracking; si avrebbero quindi 20 mila miliardi di metri cubi di gas ottenibili tramite la tecnica di fratturazione idraulica delle rocce. Risorse che secondo il ministro dell’energia algerino non possono essere lasciate non sfruttate, ma che secondo i cittadini e i movimenti contro il fracking del paese, porteranno devastazioni ambientali in una zona fragile, le cui riserve idriche sono vitali per l’agricoltura e la cittadinanza. Motivazioni forti che, con ogni probabilità, continueranno a far combattere gli abitanti contro le decisioni del governo algerino, nonostante il fatto che dall’alto difficilmente giungerà un passo indietro.
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