I fiumi del Sud del mondo sono in pericolo, potrebbero fare la fine dei fiumi del Nord industrializzato e super-affollato, inquinati da decenni di sfruttamento e sversamento di rifiuti industriali, cause che hanno messo in serio rischio gli ecosistemi nelle acque dolci. Qual’è il danno ambientale, sociale ed economico di tutto questo?
Lo rivela il dossier di Greenpeace “Danni sommersi”, speranza per i Paesi emergenti a non commettere gli stessi errori compiuti in passato da chi invece non si è curato della salute delle acque dei fiumi.
Fiumi come il Neva, in Russia, il Chao Praya in Thailandia, lo Yangtze in Cina e il Marilao nelle Filippine forniscono acqua potabile alle popolazioni di San Pietroburgo, Shangai, Bangkok per un uso domestico e anche agricolo. Eppure le acque dei fiumi nascondono sostanze tossiche per la salute umana, sono i bioaccumulanti, sostanze capaci di unirsi alla catena alimentare e sono praticamente impossibili da eliminare una volta disperse nell’acqua. Come spiega il responsabile della campagna Inquinamento di Greenpeace, Vittoria Polidori
Nei Paesi occidentali l’inquinamento delle acque da composti chimici pericolosi ha determinato così tante difficoltà tecniche, economiche e politiche, da essere ingestibile.
Per questo l’obiettivo è quello di
mettere a disposizione dei Paesi emergenti le nostre drammatiche esperienze perché essi sappiamo difendersi, visto che è proprio lì che è stata trasferita gran parte della produzione chimica e manifatturiera. I danni arrecati dall’inquinamento industriale alla salute, all’ambiente e alle economie locali raramente sono presi in considerazione. Ancor più difficile è che questi danni siano compensati, non perché essi siano impossibili da calcolare, ma perché è difficile identificare chi inquina e, ancor più, imporre il principio che chi inquina, paga.
Nel dossier una sezione è dedicata alle grandi bonifiche dei corsi d’acqua, come i casi del fiume Hudson nello Stato di New York, in USA,per decenni bacino di raccolta delle acque di scarico della General Electric, contaminate da PCB, policlorobifenili, composti chimici oggi vietati. Da circa 30 anni gli sversamenti sono stati fermati, ma il fiume è ancora inquinato, la società GE pagherà 1,4 miliardi di dollari per la bonifica delle acque. Il Laborec in Slovacchia, inquinato da PCB, è l’area più contaminata d’Europa e nonostante le promesse di aiuti internazionali, la bonifica non è mai cominciata. Il Delta del Reno in Olanda, inquinato dallo sviluppo industriale del dopoguerra, è bonificato dal 1997, ed è costato ai contribuenti olandesi circa 2,8 milioni di euro. L’appello di Greenpeace è a tutti i governi, affinché si imponga il divieto di scarico nelle acque dolci e potabili di sostanze chimiche e pericolose per l’uomo e l’ambiente, ma che si punti su una strategia politica a Scarichi Zero.
Fiumi italiani, inquinati 26 su 30
Lontre e salmoni nel cuore di Londra: così il Tamigi torna a vivere
[Fonti: Adnkronos; Greenpeace]