Non tutti conoscono il caso di Marlane di Praia a Mare nella provincia di Cosenza, forse perché la stampa poco ha parlato della vicenda, una delle tante scomode, o perché il processo contro la fabbrica dei morti, come è stata ribattezzata l’azienda tessile del gruppo Marzotto, va avanti da 13 anni. Questa volta il procuratore capo Bruno Giordano (lo stesso delle navi dei veleni) e la Pm Antonella Lauri, sostituita poi dal Pm Carotenuto, vogliono davvero andare a fondo nella vicenda e fare giustizia per le vittime uccise dal cancro.
I responsabili del disastro ambientale e dello smaltimento illecito di rifiuti tossici industriali sono grandi nomi dell’economia italiana: Pietro Marzotto che gestisce oltre 2.800 operai in 10 Paesi; Favrin vicepresidente vicario di Confindustria Veneto; Storer ex-dirigente di Benetton, Nordica e Quacker-Chiari&Forti; De Jaegher consigliere della Euretex; Bosetti consigliere delegato e vicepresidente di Lanerossi; anche il Sindaco di Praia a Mare, Carlo Loomonaco (Pdl) è tra gli imputati perché responsabile del reparto tintoria e dell’impinato di depurazione dal 1973 al 1988, nonché direttore dello stabilimento dal 2002 al 2003. Ad oggi si contano 40 decessi per cancro, causati dall’uso di coloranti azoici e per l’amianto presente sui freni dei telai; 60 ex-operai della Marlane convivono ancora con il male. Le tonnellate di rifiuti tossici smaltiti in modo illecito, seppellite nell’area circostante lo stabilimento a pochi passi dal mare, il sabato quando la fabbrica era vuota, sono centinaia. Lo ha raccontato al programma “Crash” Franco De Palma, operaio specializzato alla Marlane morto alcuni mesi fa
Ci dicevano: puzza, ma non fa male. Ero un operaio specializzato del reparto tintoria. Noi avevamo l’ordine, io e un altro di Praia, di buttare i rimanenti coloranti. Si facevano delle buche grandissime fuori, nella parte dietro al capannone e si versavano tutti là, nell’area che dà sul mare. Poi le ricoprivamo. Non potevi dire che non lo voleva fare. loro ti dicevano: se non lo fai tu lo fa qualcun altro. E lo facevamo sempre il sabato mattina, o il sabato sera, quando lo stabilimento non funzionava. Protezioni? Nessuna: né mascherine, né guanti. Io ero come sono adesso: con questa faccia e questo naso. Ci davano mezzo litro di latte da bere, ma forse faceva più male che bene. Queste cose le ho fatto fino a 15 giorni prima di lasciare il lavoro.
Cromo esavalente, cadmio, piombo, arsenico, nichel, amianto, metalli pesanti che a contatto con l’acqua si sciolgono. L’accusa per i 13 manager è di omicidio colposo plurimo aggravato, omissione di cautele sul lavoro, lesioni gravissime e disastro ambientale. La storia degli operai di Marlane, inconclusa perché il processo è stato rinviato al 30 dicembre 2011, è raccontata in un libro di Francesco Cirillo e Luigi Pacchiano, con interviste di Giulia Zanfino, “Marlane: la fabbrica dei veleni” (Coessenza, pp. 192, 10 euro). Nel frattempo sono in corso gli scavi e le analisi del sottosuolo.
[Fonti: Il Corriere della Sera; Scirocco Rosso]