L’energia eolica è attualmente una delle principali fonti con le quali molti Paesi mirano a soddisfare il loro fabbisogno energetico. E’ presente in quasi tutte le nazioni del mondo e molte di queste, come per esempio la Scozia ed altre insulari, puntano su di lei per mirare al 100% di energia pulita. Una nuova invenzione però potrebbe rendere l’energia eolica talmente efficiente da soddisfare il fabbisogno energetico non di una nazione soltanto, ma dell’intero pianeta.
Lo sostiene Kate Marvel del Lawrence Livermore National Laboratory che ha pubblicato la sua ricerca su Nature Climate Change. Secondo la scienziata la soluzione sono le turbine atmosferiche, una nuova generazione di turbine più efficienti di quelle che conosciamo oggi. Si tratterebbe di turbine più alte le quali, raggiungendo altezze di molto maggiori rispetto a quelle moderne, riuscirebbero a “catturare” una quantità di vento di circa 40 volte superiore perché a quelle altitudini i venti sono più stabili e veloci.
Dunque, in linea teorica, non solo l’energia che si potrebbe catturare con le turbine atmosferiche sarebbe in grado di soddisfare il fabbisogno energetico mondiale, ma ne produrrebbe anche di più. Questo, come dicevamo, solo teoricamente. Sì perché non si tiene conto del fatto che per raggiungere questo obiettivo le turbine dovrebbero essere distribuite in tutto il mondo uniformemente, e non si tiene conto che si tratta di tecnologie molto costose che non tutti i Paesi sarebbero in grado di sostenere.
Senza tenere conto del fatto che oltre a produrre energia pulita, bisogna anche essere in grado di distribuirla in modo efficiente, e le strutture odierne non tanto lo permettono. Però il passaggio dalla teoria alla pratica, soprattutto in questo periodo, è breve, e l’aver teorizzato un obiettivo così ambizioso potrebbe avvicinarci alla sua realizzazione.
La fattibilità su un piano geofisico è garantita. E’ più probabile, quindi che saranno fattori economici, tecnologici e politici a determinare la crescita dell’energia eolica nel mondo
ha concluso Ken Caldeira, della Carnegie Institution for Science, coautore dello studio.
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Phyllisheelo 1 Febbraio 2017 il 9:57 am
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