Il capitolo marea nera è tutt’altro che concluso: altre pagine a tinte fosche ci aspettano nei prossimi mesi, anni, decenni: il peggio deve ancora arrivare. Oggi parliamo delle conseguenze sulla salute, presentando i dati forniti da un recente rapporto diffuso dai ricercatori della UCSF (Università di San Francisco) pubblicato sulla rivista dell’Associazione dei medici americani. L’intento è di informare i medici e le comunità costiere sui rischi sanitari di vario genere ed entità, sia a breve che a lungo termine, derivanti dall’esposizione ai vapori tossici, alle palle di catrame ed ai frutti di mare contaminati.
Partiamo da quanto è già avvenuto in Louisiana in questi mesi: secondo i dati raccolti dal Dipartimento della Salute e dagli ospedali dello stato americano, più di 300 persone sono state ricoverate, perlopiù operatori addetti alla ripulitura dell’area del Golfo contaminata, che accusavano mal di testa, vertigini, nausea, dolore toracico, vomito, tosse e difficoltà respiratorie che potrebbero essere dovute all’esposizione agli agenti chimici.
Per i danni a lungo termine i ricercatori fanno riferimento a quanto già avvenuto in disastri petroliferi simili, verificatisi nei decenni scorsi in Alaska, Spagna, Corea e Galles. I dati sanitari raccolti negli anni successivi a questi sversamenti di petrolio parlano di problemi respiratori, alterazioni del DNA, ansia, depressione, disordine da stress post-traumatico, stress psicologico e danni neurologici nei lavoratori e residenti locali.
Sotto accusa la cattiva qualità dell’aria
gravemente contaminata dai composti organici volatili che evaporano in poche ore dopo che il petrolio entra in contatto con l’acqua. Questi composti chimici possono provocare irritazione delle vie respiratorie, mal di testa e nausea. Altri composti rilasciati dal petrolio o da prodotti chimici utilizzati per disperdere il petrolio possono causare irritazioni cutanee, problemi respiratori e danni al sistema nervoso centrale.
Per non parlare dei rischi derivanti dalla contaminazione della fauna ittica che stanno già provocando, come abbiamo già avuto modo di vedere, l’ingresso di sostanze tossiche nella catena alimentare.
[Fonte: Medicinalive]
Jacquie 1 Marzo 2017 il 1:13 am
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