A gennaio di quest’anno la decisione drastica di scaricare 26 tonnellate di pellet alimentare per tentare di debellare le colonie di ratti neri che avevano invaso l’isola di Montecristo mettendo a grave rischio svariate altre specie, tra cui alcune a rischio. Ora l’Anid, l’Associazione nazionale delle imprese di disinfestazione, comunica che l’operazione ha avuto successo: i ratti neri infestanti sono stati eliminati e le altre specie potranno tornare a nidificare e riprodursi.
La strategia per liberare l’isola di Montecristo dai ratti neri ha avuto successo e le specie a rischio che erano solite soggiornare e nidificare sull’isola potranno tornare sul luogo e riprodursi. Come hanno dichiarato i responsabili dell’Anid
un recente censimento del Parco Nazionale dell’arcipelago Toscano ha contato oltre seicento pulcini di berta minore pronti a spiccare il volo. Si sommeranno alle 700 coppie che nidificano nell’isola, con un incremento riproduttivo quantificabile intorno al 95% rispetto allo scorso anno.
L’esperto Dario Capizzi ha commentato come segue l’intervento di disinfestazione attuato con tecniche effettivamente invasive, ricordando che l’efficacia delle strategie cambia da caso a caso, ed è lo studio dei casi a determinare il successo o il fallimento di una determinata tecnica, e quindi la giusta scelta da adottare per l’ecosistema. Il caso di Montecristo, secondo Dario Capizzi
è emblematico perché dimostra che studiando emergenze ed infestazioni caso per caso, attraverso uno studio del territorio pianificato e ben congegnato, è possibile ottenere risultati importanti. E’ indispensabile per trovare la giusta tecnica da adottare. Si tratta dell’isola più grande mai liberata dai ratti nel Mediterraneo. Quella delle esche si è rivelata essere la giusta soluzione; una tecnica abbastanza invasiva ma usata per un limitato arco temporale.
Capizzi sottolinea quindi come l’invasività della tecnica utilizzata rappresenti un piccolo sacrificio a fronte di un grande beneficio: se i ratti neri fossero rimasti sull’isola il suo ecosistema ne avrebbe patito pesantemente.
Photo Credits | Roberto Milani su Flickr