Danni da biocarburanti, forse non sono così efficienti

di Redazione 2

Probabilmente sui biocarburanti ci eravamo sbagliati. Ma non solo noi, purtroppo si era sbagliato tutto il mondo. Una nuova analisi americana, pubblicata su Science, ha dimostrato come le coltivazioni di biocarburante ai tropici non è poi così ecologica rispetto alla perforazione petrolifera. Anzi, per certi versi è anche peggio, almeno nel breve termine.

Il primo dubbio è venuto quando si sono confrontati i due effetti sui gas serra. Infatti chi era a favore dei biocarburanti portava come argomentazione che le piante che producono olio di palma o etanolo da mais riciclano biossido di carbonio che utilizzano per crescere. Al contrario il petrolio rimetteva in circolo nell’aria nuovo carbonio che precendentemente aveva prelevato dalle viscere della Terra. Ma in realtà non è tutto così semplice.


Due studi hanno dimostrato come i benefici che dovevano derivare da queste coltivazioni sono in ritardo di secoli rispetto a quello che ci si aspettava, e quindi il recupero del carbonio non è davvero efficiente. A tutto ciò va aggiunto, come anticipato da noi qualche mese fa, che l’abbattimento della foresta pluviale brasiliana per lasciar spazio alle coltivazioni dei semi di soia fa crescere il “debito” di carbonio, da rimborsare nei prossimi 319 anni. Probabilmente anche qualcosa in più rispetto a quello che si farebbe con il petrolio. Anzi, nel breve termine, paragonando le due prestazioni (biocarburante-combustibile fossile) siamo pari.

Holly Gibbs, scienziata dell’utilizzo del territorio tropicale dell’Università del Wisconsin, insieme al tuo team ha analizzato i dari relativi alle colture di 10 diverse parti del mondo in diverse stagioni, dall’Africa ai tropici, dall’Asia alle foreste pluviali. Nonostante le prestazioni di queste piantagioni fossero il 10% migliori di quelle di tutto il mondo, e alcune di esse, come l’etanolo del mais, è 7 volte superiore alle normali specie africane di etanolo, i dati non sono ugualmente incoraggianti. Anzi, il mais ad alte rese coltivato in Africa e “dopato” con fertilizzanti, irrigazione e tecniche sofisticate, recupera il suo debito di carbonio in 100 anni. E questo è, attualmente, il massimo risultato che si può raggiungere, se pensiamo che il mais coltivato al livello normale ci mette circa 5 volte in più per ottenere la stessa prestazione. Quindi, secondo la Gibbs, l’obiettivo di recuperare immediatamente le emissioni di anidride carbonica con queste colture è una “proposta a perdere”. Come a voler rincarare la dose, Gibbs osserva come questo genere di colture è anche inattuabile nei paesi in via di sviluppo, perchè per ottenere le prestazioni migliori bisogna sostenere dei costi altissimi, e visto il problema del costo dell’agricoltura attuale, non è proprio il caso nemmeno di provarci.

Per risolvere il problema la scienziata americana suggerisce di coltivare le piantagioni per i biocarburanti in zone che non hanno bisogno di essere deforestate, e in cui non si ruba spazio ad altre colture. Al contrario, se si continuassero ad abbattere le torbiere del sud-est asiatico per creare piantagioni di olio di mais si correrebbe il rischio di avere un debito di carbonio che si potrà estinguere tra circa un millennio.

Commenti (2)

  1. La soluzione è l’auto ad aria compressa !!!
    Vi ho inviato pure il link tra le segnalazioni.

  2. Ahh… …E Io Che Pensavo Fosse Andare A Piedi O In Bici 😉

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