Conversione carbone Porto Tolle, ambientalisti sul piede di guerra

di Redazione 4

Ancora rovente il clima sul progetto Enel di conversione a carbone della centrale termoelettrica a olio combustibile di Porto Tolle. Non è stato affatto gradita dagli ambientalisti la risoluzione del Consiglio Regionale del Veneto volta ad approvare la modifica dell’articolo 30 della legge che istituisce il Parco Regionale Veneto del Delta del Po.
Secondo quanto dichiarato da Greenpeace, Legambiente, Italia Nostra e WWF, unite su un fronte comune, quello di ostacolare il carbone, questa decisione, infatti, altro non fa che agevolare i piani del colosso energetico italiano.

In una nota apparsa sul portale di Legambiente si esprime una viva preoccupazione per quelli che saranno gli impatti ambientali dell’opera di riconversione di Porto Tolle:

Gli impatti sanitari, ambientali e occupazionali che verrebbero dalla realizzazione del progetto di Enel costituirebbero un severo danno al territorio e all’economia di larga parte del Nord Est. Nonché, un aumento delle emissioni di gas a effetto serra superiore a 4 volte quelle dell’intera città di Milano. Tutte le città del Veneto sono già oggi fuori norma sia per il PM10 che per il PM2,5: con questa scelta la Giunta Zaia garantisce un peggioramento della qualità dell’aria per gran parte della Pianura Padana.

Le associazioni minacciano che non staranno certo a guardare e che ogni eventuale VIA, Valutazione d’Impatto Ambientale, positiva sul progetto verrà impugnata al cospetto della magistratura amministrativa:

Quanto ai provvedimenti di legge della Regione Veneto (la modifica della legge del Parco del Delta del Po) e del Parlamento (la norma presente nell’ultima manovra economica, che consente la conversione a carbone di impianti termoelettrici a olio combustibile anche in deroga alla normativa VIA), gli ambientalisti annunciano che contrasteranno tali norme salvacarbone ricorrendo in tutte le sedi giuridiche e istituzionali competenti, anche in ambito comunitario.

Quanto la Regione sta per deliberare, concludono le associazioni, ignora inoltre le remore espresse dalla stessa Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente del Veneto in materia di emissione di microinquinanti.

[Fonte: Legambiente]

Commenti (4)

  1. Dalla foto riportata in questo articolo si vede chiaramente che la centrale termica di Porto Tolle è circondata di acqua salmatra inquinata dalla foce del fiume PO. Mentre la centrale inquina l’aria con i fumi di combustione. E’ la condizione ideale per realizzare un impianto pilota basato sui depuratori coperti che sono stati progettati appositamente per neutralizzare le emissioni di CO2 e gas serra nei bacini di ossidazione endogena, nitrificazione, fotosintesi e alcalinizzazione. Non si comprendono le ragioni per le quali chi governa l’ambiente si ostini a ignorare i depuratori coperti che darebbero una coerenza alla scelta del carbone come combustibile di basso costo economico. Si comprende ancora meno il silenzio delle associazioni ambientali che pure si ostinano si ostinano a ignorare i depuratori coperti che non solo poterebbero rendere ecocompatibile il carbone ma depurare e alcalinizzare grandi masse d’acqua contribuendo alla difesa dell’acidificazione oceanica che parte proprio dalla eutrofizzazione delle zone costiere. I depuratori coperti potrebbero essere il punto di incontro tra le esigenze di produzione energetica sostenibile e la tutela dell’ambiente in attesa che vengano messe a punto fonti energetiche alternative pulite e senza contro indicazioni che al momento non esistono. Non trovando un punto di incontro, rischiamo che i governanti procedono unilateralmente non solo con la trasformazione della centrale senza una adeguata protezione ambientale, ma addirittura dotata di un sistema di recupero CO2 in corso di sperimentazione nella centrale di Brindisi, già pubblicata con enfasi da ENEL e ENEA che nella realtà non promette niente di buono, basandosi sul sistema C.C.S. che comporta un maggior consumo di combustibile e una maggiore produzione di CO2 del 30% con l’effimero vantaggio di interrarlo alla profondità di 1000 m e alla pressione di 80 bar, con alti costi e alti rischi ambientali già assaporati nel 1986 su lago Nyos (Camerun).

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