Non è un caso che il meeting sui cambiamenti climatici si tenga a Durban, in Sudafrica. Il Continente africano infatti è quello più colpito dagli effetti del riscaldamento globale, nonostante sia anche quello meno responsabile di tale cambiamento. Sarà che forse le conseguenze sul proprio territorio non sono ancora ben visibili, ma l’impressione negli ambienti del congresso è che i Paesi maggiormente industrializzati siano tentati di rinviare ogni decisione. Come peraltro hanno sempre fatto, ma stavolta è anche peggio.
L’ultima novità che ci giunge da Durban è che i Paesi industrializzati non solo vogliono rinviare il discorso come accadeva negli altri meeting, da un anno all’altro, ma stavolta si parla di rinviare tutto al 2015, per prendere decisioni che non entrerebbero in vigore prima del 2020. Una follia in quanto tutti gli analisti affermano che al 2020, con la situazione attuale, la situazione sarebbe davvero disastrosa, ed inoltre secondo l’Agenzia Internazionale per l’Energia abbiamo tempo fino al 2017 per convertire la maggior parte delle fonti energetiche fossili in rinnovabili, altrimenti sarebbe troppo tardi.
E loro cosa fanno? Rinviano le azioni al 2020. Follia pura. Su questa posizione sembrano convergere Stati Uniti, Canada, Russia, Giappone, Cina e India. A loro si contrappongono Africa ed Europa che hanno concesso un rinvio di un solo anno per incontrarsi nel 2012 e trovare delle soluzioni definitive da attivare subito e terminare il processo di transizione al 2015. Proprio quando le altre nazioni vogliono cominciare a muoversi.
In questo quadro cominciano a farsi sentire anche quei piccoli Stati insulari che sono i primi a pagare le conseguenze. La loro proposta è di attuare un Kyoto-2 per il periodo 2013-2017 che preveda un limite di innalzamento delle temperature ad 1,5° C, troppo ambizioso anche per i sogni più sfrenati degli ecologisti. L’impressione è che nulla cambierà prima del 2014, se non nel 2015, quando i dati dell’unica istituzione internazionale riconosciuta, le Nazioni Unite, non saranno completi.
Ed intanto, mentre i grandi Paesi litigano su cosa fare, o sarebbe meglio dire cosa NON fare, l’Africa comincia a pagare le conseguenze di questa inazione. I pochi ghiacciai che costellano le catene africane ormai si stanno riducendo ad un ritmo pauroso. La maggior parte di essi si sono ridotti della metà dal 1987 al 2003, e secondo lo University College di Londra quasi tutti, nonostante esistano sin dai tempi degli antichi greci, sono destinati a sparire entro 20 o 30 anni al massimo. Ma cosa significa tutto questo?
Da un lato c’è l’aumento del livello del mare che ha portato il Nilo ad ingrossarsi, tanto che si stima che il 40% della popolazione che vive vicino alla sua foce potrebbe essere sfollata a causa della possibilità di venire sommersa in via definitiva. L’agricoltura in molte altre parti, come l’Uganda, l’Etiopia ed il Kenya, sta diventando quasi impossibile a causa della siccità e delle alte temperature che qui nelle ultime estati stanno toccando i 63° C. E di conseguenza ne risente la pastorizia, in particolare in Kenya dove è una pratica abbandonata quasi ovunque. Ormai qui l’incremento dei 2 gradi entro la fine del secolo è un’utopia, è stato già raggiunto, ed ora si calcola che le temperature potrebbero arrivare ad almeno +5 gradi a quella data.
[Fonte: The Guardian]
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