Ieri si è aperta la conferenza sul cambiamento climatico di Cancun, in Messico, sulle più difficili questioni rimaste irrisolte da Copenaghen. L’aspettativa è di redigere un trattato internazionale per ridurre le emissioni dei gas serra con il patrocinio delle Nazioni Unite. La speranza, si è capito sin da subito, è che almeno piccoli passi possano essere fatti per programmi a lungo termine, in modo da ridurre la minaccia dell’incremento delle temperature globali.
Gli Stati Uniti, a differenza di quanto successe un anno fa, vogliono entrare nei colloqui sin da subito, ma stavolta si trovano in una posizione debole a causa della mancanza di azione sul clima nelle politiche interne e nella legislazione energetica, anche peggio di quanto fatto dalla Cina. Su una cosa però sembrano concordare tutti: i colloqui internazionali non possono “sopravvivere” ad un altro disastro come quello di Copenaghen.
L’anno scorso, il presidente Obama aveva larghe maggioranze al Congresso e la speranza di agire sui provvedimenti in merito alla riduzione delle emissioni ed al passaggio verso le rinnovabili. Ma se l’anno scorso alla fine non ha ottenuto nulla di tutto ciò, figuriamoci cosa potrà fare quest’anno, con molto meno peso politico nel Congresso americano.
Non cercheremo di risolvere l’intero problema quest’anno, ma siamo in grado di raggiungere accordi migliori ogni anno.
E’ questa la speranza nel discorso di apertura di Christiana Figueres, diplomatico del Costa Rica che ha assunto quest’anno il ruolo di segretario esecutivo della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. I negoziati si svolgeranno a porte chiuse, ma tutti sanno che nulla sarà deciso fino all’ultimo minuto dell’ultimo giorno del congresso.
La conferenza di quest’anno si è aperta con lo stesso insieme di problemi che i partecipanti hanno lasciato sul tavolo a Copenaghen, quando venne redatto un “accordo imperfetto”, come è stato definito da più parti, una dichiarazione non vincolante di buone intenzioni, che serviva solo per prendere atto dell’esistenza del problema, senza che nessuno, forse ad esclusione dell’Unione Europea, facesse qualcosa per trovare rimedio.
Il problema è che anche se tutte le promesse riduzioni delle emissioni concordate fossero raggiunte, il mondo sarebbe ancora lontano dell’obiettivo di mantenere la temperatura media globale entro i due gradi centigradi dell’era preindustriale. Oltre alla possibilità di ridurre le emissioni, gli altri quattro punti principali della discussione riguarderanno la deforestazione, la condivisione della tecnologia per produrre energia in modi meno inquinanti, aiutare i Paesi più poveri ad adattarsi agli inevitabili cambiamenti del clima e la costituzione di un fondo di 30 miliardi di dollari per promuovere questi obiettivi. L’accordo per il fondo sembra l’unico punto su cui non dovrebbero esserci problemi.
Ciò che rimane davvero difficile, e che molto probabilmente non verrà risolto a Cancun, è il destino del Protocollo di Kyoto. L’accordo che gli Stati Uniti non hanno mai accettato, verrà sicuramente utilizzato come arma da parte di molti altri Paesi che invece si sono dovuti adeguare, e potrebbe essere un limite, anziché un’opportunità, verso un accordo globale.
[Fonte: Ny Times]
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